Questo articolo è stato da me scritto per il numero di Dicembre 2000 del mensile Casentino 2000

E così, scherza e gioca siamo arrivati anche a questo primo Natale del secolo nuovo, o a seconda delle scuole di pensiero, all’ultimo del vecchio.

Ricordo perfettamente quando da piccolo immaginavo il Natale del duemila, con le macchine volanti, i raggi laser, tutti che si andava in giro vestiti d’alluminio come i Rockets… Tutte palle.

Bello il Natale da bambini. Tutto ci sembra grande, bello, colorato. L’uvetta nel panettone, il babbo che piglia la scossa quando mette gli orsini con l’intermittenza nell’albero, il crogiolare dell’arrosto opportunamente sovradimensionato che si cuoce in forno per la libagione di tutta la famiglia, l’attesa della mattina per scartare i regali, la finta sorpresa del regalo (perchè da bimbi si era un pò infidi e si faceva una testa così ai genitori per pilotare abilmente le scelte di babbo natale o chi ne fa le veci verso l’uno o l’altro dono…). Che bello che era… Tutte palle.

Natale: stillicidio di quattrini...

Ora che siamo cresciutelli, più che alle macchinine e al monòpoli si pensa alla benzina a duemiladue, al mutuo in banca (colpa del trènde del dàugiòns, ci dicono gli esperti nella niùeconomi…ma perché non vanno a lavorare…) e ai fogli da centomila che guardacaso finiscono sempre prima del foglio del calendario. Ci si accorge che è passato un’anno perchè cominciano ad arrivare gli estratti conto semestrali dalla banca (come dire: la conta dei morti).

E così, tribolando risiamo al Natale, si diceva. Non so voi, ma quest’anno non mi va di festeggiare un bel niente. Come quelli che non festeggiano il compleanno perchè un’anno in più è sinonimo di vecchiaia incipiente, io, che sono fondamentalmente cattivo nell’animo, non festeggerò il Natale per scarso attaccamento al genere umano. Crescendo, si diceva, il Natale assume ben altri significati, meno spirituali e assai più materiali. Il Natale, è diventato una grande fiera, il mercato per eccellenza dove ognuno è libero di sfogare le proprie voglie represse nel più nefasto dei modi. Dalla spropositata corsa all’acquisto delle più insulse e deprimenti mercanzie (debitamente sovrapprezzata dal cortese negoziante che accoglie il cliente con la classica faccina sorridente della serie “vienivieni che ti pelo io…”) allo sfoggio pubblico della più grassa e becera opulenza. Eh si, perchè questo genere umano coglie al volo le occasioni mondane: in assenza delle “prime” a teatro, o di ricevimenti di alto lignaggio, ripiega astutamente sulle più comuni occasioni di socializzazione quali funerali e Messe.

Ecco cosa farò quest’anno. Mi apposterò davanti alla chiesa del mio paese mezz’ora prima della messa di Natale, e osserverò la fauna che entrerà nel luogo sacro. Voglio vedere in faccia le signore che hanno tirato fuori per l’occasione tutta la bigiotteria che avevano nel portagioie per agghindarsi a mò di lampadario, con l’acconciatura stile niuèig, che ha richiesto otto ore di sapiente intervento da parte del parrucchiere, oops, pardon, del coiffeur (a dire il vero un petardo scoppiato in testa avrebbe ottenuto risultati migliori), con le scarpe pitonate fosforescenti a punta

Ridicoli alla sfilata di natale...

firmatissime col tacco ferrato dal maniscalco, l’abito brilluccicante che costa come due stipendi di un’operaio (ma che addosso ad un tornitore starebbe malissimo…), la borsetta di pelle di animale, uno qualsiasi purchè in via di estinzione, il cappottone rigorosamente leopardato di chiaro taglio sartoriale francese (???) pesante come un panzer, che non verrà tolto neppure durante la cerimonia, perchè sai quattromilioni son quattromilioni… E quei bei signori pasciuti e rosei, che per l’occasione sfoggiano il loro mezzo chilo di Rolex al polso, con l’abito nero intonato alla Mercedes e le scarpe giallo canarino squadrate come un’incudine, perchè sai ora vanno di moda.

Voglio vederli nella loro sfilata di moda, mentre si avviano nel corridoio centrale della chiesa per andare a fare la comunione. Per primi, perchè dopo vengono i vecchi e loro non se ne giovano.

Voglio osservare il loro comportamento mentre il sacerdote parla di umiltà, di solidarietà, di pentimento…. Loro che danno ragione al Cardinal Biffi perchè i marocchini sono sudici e ci portano via il lavoro… Davanti a tale sfoggio di violenta volgarità gratuita, mi verrà da pensare all’inferno: chi è più degno di finire arrosto, un musulmano che si alza la mattina alle cinque per pregare o un cristiano che calpesta il suolo della chiesa solo per mondanità e vanto?

Toglietevi lo stivalone pitonato e cominciate a mettere i sandali (rigorosamente di Prada), che laggiù fa caldo…

Che bello il Natale, quest’anno…

Questo articolo è stato da me scritto per il numero di Ottobre 2000 del mensile Casentino 2000

Chi giunge da Arezzo nel Casentino, una volta superata la strozzatura naturale formata dalle colline del Groppino e del colle di Terrossola, rimane felicemente affascinato dalla vista del colle sul quale si erge la medievale città di Bibbiena. Lasciatosi alle spalle l’abitato del Corsalone, e superato il torrente Vessa a pochi metri dal punto in cui, nei tempi degli avi sorgeva l’antico ed austero ponte di Arcena, oggi ahimè diruto e disperso e sostituito da un funzionale quanto anonimo ponte in muratura ed asfalto, il viaggiatore si trova a costeggiare le poche sparse case che sembrano fungere da preludio alla suddetta cittadina.

Sulla sinistra, il depuratore/canile di Bibbiena

Abbiamo Pollino, poi La Nave. Tra queste due località, sulla riva sinistra dell’Arno, un tempo fertile campo di abbondanti messi, traboccante di tutti i migliori frutti che la terra rigogliosa di quei luoghi riusciva ogni anno ad offrire al contadino, qualcuno, non certo la natura ha pensato bene di far sorgere un’utilissimo quanto molesto “centro di raccolta e convivio di fedeli amici dell’uomo”. In parole povere un vero e proprio canile, anche se per la legge un canile è ben altra cosa. Un canile per legge deve necessariamente avere delle strutture adatte a facilitare il soggiorno degli animali ospitati: una infermeria, delle gabbie di adeguata metratura e copertura, spazi per la libertà di correre, locali per la quarantena degli animali malati, assistenza sanitaria 24 ore al giorno e così via.

Il canile in questione, perché di questo si tratta anche se ufficiosamente, si trova nella posizione migliore per poter far arrivare l’abbaiare dei cani al maggior bacino di utenza possibile. E’ stato ubicato infatti con rara maestria e calcolo, a poche decine di metri in linea d’aria dalle abitazioni più vicine, con gioia e tripudio degli abitanti i quali si trovano nella condizione dell’essere ben lungi dal sentirsi soli anche di notte. La struttura ricorda quella di un teatro greco: le voci degli attori (nel nostro caso dei cani) si odono perfettamente da tutti gli spalti del teatro (nel nostro caso si sentono dalla Nave al Piazzale della Resistenza, dalle Monache a Pollino, – che detto per inciso sono anche un notevole “zoccolo rosso” ovvero un notevole serbatoio di voti per la maggioranza comunale di Bibbiena -, giungendo fino alle prime propaggini del Corsalone, il quale, essendo al di fuori del Comune di Bibbiena, potrebbe anche protestare e creare un’incidente diplomatico…).

Bau!

Nei primi tempi, la gente aveva preso anche con simpatia l’arrivo del primo cane all’interno del depuratore (“pàrini, gli fanno compagnia…”). Anche del secondo. Pure del terzo. A partire dal decimo cominciarono a nascere delle perplessità. C’è stato chi osservava giornalmente come stavano i cani, se la famiglia era cresciuta, se avevano fatto i tetti alle gabbie in legno. Si cominciava a dare ai cani i primi nomiciattoli per poterli distinguere nelle chiacchiere che si facevano tra le comari a veglia: Nuvola (il cane dal pelo bianco), il canelupo Rèsse (toscanizzazione di Rex…), Braccobardo, Gècche, Bobi, Fido che non manca mai, Bòbbe, fino ad arrivare ai più estremi, come Benito (quello dal pelo rasato), Pavarotti (quello con il latrato profondo e cavernoso), GiònOlms (quello perennemente infoiato). Nelle sere invernali si pensava e si discuteva su “come staranno male que’ pòri canini ar freddo…”, “ma come farà quer pòro Gècche che l’è ir più vecchio…” e via discorrendo. Approssimandosi la stagione primaverile, le finestre delle abitazioni hanno cominciato a rimanere aperte per più ore nel corso della giornata. E assieme al venticello gentile della primavera e all’odore dei fiori in boccio (abbiate pietà di me…) ha cominciato a fare capolino all’interno delle abitazioni anche il perpetuo ed incessante latrare, abbaiare, guaire dei cani. Cominciarono a balenare i primi sospetti e ad apparire i primi moti circolari degli apparati genitali (giramenti di palle, N.d.A.). E difatti, con l’arrivo del tempo buono, anche i cani rinvigoriti e ritemprati nello spirito, nel corpo ma ancor di più nell’ugola, dalle prime ore della mattina fino alle ultimissime ore della notte allietano il trascorrere del tempo abbaiando a squarciagola (si dice così o no? Boh…). Si passa dai solitari gorgheggi del Pavarotti fino ai duetti tra Benito e il Bòbbe, per arrivare ad esibizioni corali in notturna che rendono uniche le nottate estive Bibbienesi. La popolazione delle zone di Bibbiena interessate al fenomeno, sarebbe ben felice di ringraziare di persona il signor Non-si-sa-chi (maledetto chi gli còce il pane…) per lo spettacolo unico che viene concesso giornalmente, 24 ore su 24, 365 giorni all’anno (anche perché i cani non riconoscono né le domeniche e nessun’altra festa, civile o religiosa, con buona pace del clero), e magari sarebbe anche felice di poterlo applaudire di persona, magari a mano aperta, sulle guance, con gran rumore di ciccia percossa.

Noi nel nostro piccolo, da spettatori esterni alla vicenda, speriamo che la popolazione Casentinese sappia apprezzare tale iniziativa e che intervenga numerosa ad assistere alle manifestazioni testé descritte. La popolazione delle Monache ha già dato la disponibilità a concedere le proprie finestre agli ospiti (un po’ come a Siena per il palio), e pare che stiano trattando con quelli della Nave e Pollino.

L’unica nota negativa in tutto questo è che in Casentino esisteva già un canile ampio e funzionale (dice che sia in ristrutturazione, e sapendo come vanno certe cose in Italia lo rimarrà per sempre): Si trovava nel mezzo ai boschi tra San Piero in Frassino e San Martino, in una posizione dove però non dava noia a nessuno. Dispiace che gli gnomi del bosco e le fate non possano più danzare dietro alle note dei cori dei nostri amici cani.

Questo articolo è stato da me scritto per il numero di Ottobre 2000 del mensile Casentino 2000

 

Qualche settimana fa, prima dell’estate, passeggiando per Bibbiena con il mio fido Bòbbe, un cane dalle discendenze dubbie e dal pelo oramai imbrunito, ma dal cervello ancora vispo, mi è successa una cosa singolare. Arrivato in Piazza Grande, il Bòbbe, di solito abbastanza calmo e navigato grazie alla oramai ultradecennale conoscenza di ogni angolino utile del paese, mi si agita d’improvviso: strattona il guinzaglio e con un balzo mi trascina davanti ad una strana struttura metallica dalla forma vagamente fallica. Eccitato ed incuriosito dalla novità, il mio fido bastardino annusa e rimira il nuovo inquilino della piazza fino a quando, con l’espressione tipica del cane che ha capito tutto mi guarda, guarda la struttura azzurro/grigiognola ed alza la gambina posteriore. Io rimango attonito ed il cane mi ripropone la sua zampetta alzata. Finalmente comprendo: “Bòbbe, vieni via, bischero”, gli spiego, “questo è un parchimetro, non è un pisciatoio per cani a pagamento…”. Non potete immaginare la delusione del mio cane. Ho dovuto spiegargli che i parchimetri sono stati installati per il bene della cittadinanza. 

Il mio fido cane Bòbbe!

 

Ora finalmente non ci saranno più parcheggi selvaggi nel centro storico… e soprattutto chi vuol parcheggiare deve pagare l’obolo, con tripudio delle casse comunali. Il mio cane, che è molto bravo ma di vedute molto ristrette mi ha fatto capire con lo sguardo che bastava un maggior controllo sui parcheggi ed un numero maggiore di multe per divieto di sosta (almeno una all’anno) per risolvere il problema. Allora mi sono seduto sopra un avanzo di cemento probabilmente lasciato in piazza da un cantiere e gli ho spiegato che Bibbiena, sta diventando una città d’arte, il salotto buono del Casentino: presto sarebbero portate in paese delle splendide sculture di artisti illustri e quindi non ci sarebbe stato più spazio per delle volgarissime automobili. Sarebbe stato opportuno chiudere anche il passaggio alle vetture dal centro storico, per poter permettere ai milioni di persone che verranno a visitare tale splendore di poter fare la fila tranquillamente aspettando il loro turno. Ma purtroppo, il mio Bòbbe è di un’altra generazione. Non riesce a capire queste novità. Lui pensa che un paese chiuso al traffico sia destinato a morire, ma io non ci credo. Tutti i fondi sfitti che si trovano nel borgo di mezzo, sono solo un caso. E’ la gente che non capisce. E poi, diciamo la verità, il mio Bòbbe è un sovversivo: ho saputo che ha firmato anche lui la petizione popolare con la quale si faceva presente l’assurdità dei parcheggi a pagamento e la chiusura del centro storico, assieme ad altri mille sovversivi come lui che vogliono fare solo il gioco dell’opposizione comunale. Povero il mio canino: se solo sapesse che hanno proposto di allargare la zona pedonale a Bibbiena (da Pollino a Ponte all’Archiano?), e di estendere i parcheggi a pagamento anche a Bibbiena Stazione ed a Soci, probabilmente riceverebbe il colpo di grazia. Il suo vecchio cuoricino non resisterebbe alla rabbia. Lui non capisce che l’arte è arte, e capirà lo splendore solo quando arriveranno finalmente le panchine /sculture d’autore. Prima dovranno togliere dal paese questi ammassi di sasso e cemento buttati là alla menopeggio e seminascosti da paratie di legno e frasche varie. Pensate, quell’ingenuo del mio Bòbbe è arrivato a dirmi che in realtà quegli avanzi di cantiere sono le sculture di cui sopra… Si ricrederà quando vedremo i torpedoni di turisti venire da tutta europa per ammirare l’arte vera. Va bene, dovranno parcheggiare alla Ferrantina o al Corsalone ma che non rompano le scatole e non facciano i moralisti. Cosa volete che ne capisca un cane?

Questo articolo è stato da me scritto per il numero di Settembre 2000 del mensile Casentino 2000

Nelle corti dei signori medioevali, solevano vivere dei personaggi assoldati dal signore del castello il cui unico scopo della vita era quella di allietare le serate di corte con canzoni e motti inneggianti alla grandezza e magnificenza del proprio signore. Essi girovagavano pure per le terre e le corti lontane, per propagandare il buon nome e la gloria del proprio castello. Tale tradizione, sia pur mitigata, è giunta fino ai nostri giorni sfruttando tutte le forme di informazione, dalla più antica alla più moderna. Chiunque abbia lo spirito e la bontà d’animo di dare un’occhiata alla stampa locale, spesso si imbatte in articoli che emergono dalla massa degli altri scritti per la loro involontaria ironia al limite del grottesco. Sembrano infatti le canzoni dei cantori medievali adattate per l’occasione e per il signore di turno. I novelli cantori, spaziano nelle loro scorribande letterarie dallo sport alla politica, dallo spettacolo al costume, alla cronaca nera. Un filo comune lega tutta la loro produzione: l’assoluta e cieca devozione al loro paese. I cantori, sono armati di carta, penna, e sacchettino delle lodi: in un sacchettino infatti hanno racchiuso tutti i migliori aggettivi che hanno ritagliato dal vocabolario, e li estraggono uno ad uno durante la stesura del loro testo. In ordine alfabetico: atteso, astuto, bravo, bellissimo, corretto, doveroso, entusiasmante, illuminato, indimenticabile, intelligente, notevole, splendido, straordinario, sublime, unico e via dicendo. La loro principale caratteristica è quella di non perdersi mai d’animo e di far tornare tutti i conti a favore del proprio pensare. Nei loro dieci centimetri quadrati alla settimana di gloria , l’esibizione di un coro bulgaro in piazza verrebbe definita “momento entusiasmante di apertura fraterna verso un popolo meraviglioso di tradizioni straordinarie, teso al nobile scopo di un una auspicabile unione culturale mondiale … “ (e a questo punto arrivano gli infermieri che lo portano via…). L’asfaltatura di una strada non potrà essere altro che magnificata a mezzo stampa annunciando che “il Comune, per venire incontro alle esigenze dei cittadini ha provveduto, non senza un notevole sforzo logistico, al ripristino del manto stradale ahimè danneggiato, onde evitare alla cittadinanza disagio. Un grazie sentito dai cittadini va alla capace amministrazione comunale ed al sindaco in testa, che con non comune intelligenza ha saputo raccogliere le richieste di intervento e provvedere a più presto.”

L’acquisto di una mezza calzetta di giocatorucolo dal campionato arci del Molise, verrebbe cantata come “l’atto della riscossa, il punto cardine dell’attacco della nuova squadra che con rinnovato spirito ed orgoglio tenterà di scalare le vette del campionato, guidata dal magnifico allenatore e dal presidentissimo tifosissimo appassionato straordinario e munifico al quale vanno i nostri omaggi doverosi e riverenti”. Ricordo che qualche giorno fa, l’espressione “Straordinario evento musicale” fu usato per chiosare l’esibizione ad una sagra paesana di nientepopodimeno che Don Backy! Se chiamavano Nico Fidenco, venivano i torpedoni da tutta Europa, immagino!

In una cronaca recente, commentando la partecipazione di Carmen Di Pietro alla rievocazione della “Mea” a Bibbiena, sono state usate le parole “Bellezza e classe” per lodare la esibizione della Vedova Paretnostro. Ora, che la prorompenza fisica (dovuta più al chirurgo plastico che a madre natura) sia stata scambiata per bellezza passi, specialmente nelle persone più anziane. Ma che un canotto gonfiato abbia classe, questo me lo devono spiegare. Inutile dire che l’articolo in questione ha provocato più risate in casentino di uno spettacolo di Benigni. L’esibizione sempre a Bibbiena di “Tony Corallo” (si proprio lui, quello della “Lauretta vieni in Lambretta…”) è stato definito “atteso spettacolo”. Atteso probabilmente solo dagli infermieri della Croce Verde.

Sono sicuro che se malauguratamente accadesse qualche catastrofe naturale, tali cantastorie troverebbero anche in quella occasione lo spunto per la lode: la distruzione di un paese da parte di un meteorite verrebbe salutata probabilmente come la realizzazione un nuovo parcheggio, una inondazione verrebbe interpretata come il completamento dell’allacciamento all’acquedotto di tutte le utenze (in pratica: acqua in tutte le case…), una epidemia medioevale di peste sarebbe lo spunto per la creazione di migliaia di nuovi posti di lavoro…

La lode è un’arte, va ben oltre la letteratura… queste espressioni sono l’equivalente letterario degli svolazzi del barocco, solo che il barocco era pesante artisticamente, questi articoli sono pesi e basta.

Questo articolo è stato da me scritto per il numero di Dicembre 2000 del mensile Casentino 2000

Sono già arrivati. Anche quest’anno sono calati dalle montagne, varcando i crinali dell’appennino. Arrivano a frotte, a stormi. La loro invasione è lenta ma costante. Nulla può fermarli: nessuna forza della natura, nessun ordigno… niente.

Tipico mezzo di locomozione

I fiorentini cominciano ad arrivare in casentino all’inizio di Luglio, cioè quando la temperatura nella loro terra natia raggiunge apici da altoforno. Arrivano sulla loro 127 color caffellatte, qualcuno più moderno, con la Punto grigia, ma rigorosamente coi canini che scuotono la testa contropesata in bella evidenza nel cestino posto sotto al lunotto posteriore della vettura, appoggiati sopra all’immancabile plaid scozzese, acquistato decenni prima dell’ultima alluvione. Li vedi scendere sudati come lontre (perché i finestrini la si devan tenere ‘hiusi, ‘he la si piglia le malattie co le ventahe…): lui, con le gore di sudore di stile fantozziano, la cintura slacciata che penzola sotto alla trippetta, la camicia manica lunga, il gilet di lana a quadri d’ordinanza, il sandalo aperto ed il calzino di lana. Lei, col trucco oramai disfatto fin dall’Anchetta, e spalmato assieme al sudore su tutta la tappezzeria, cerca di darsi una sistemata e chiama l’Anas per farsi dare una mano di asfalto sulla faccia. Perché anche in campagna, la classe è la classe…Sui sedili, le foderine tipiche di pecora degli anni ’70, oramai facenti funzione di argine del lago di sudore che ivi ristagna.

Che il fiorentino sia intellettualmente superiore è un dato di fatto: del resto, il rinascimento non poteva avere la sua culla se non a Firenze, crogiuolo di menti artistiche e di geni del pensiero.

Questo lo si nota tuttoggi, nonostante le generazioni passate. Quando un fiorentino arriva, lo si capisce da lontano. Pochi altri, al mondo sarebbero in grado di palesare alle genti le loro doti artistiche, la loro vena creativa, i loro bizantinismi nell’uso improprio dei mezzi di locomozione. I loro parcheggi ricordano la perfezione delle geometrie dei marmi della facciata del Duomo di Firenze, le loro fughe sugli “STOP” ricordano le fughe di Bach, i sensi unici vengono rivisti e reinterpretati in schemi che definire originali sarebbe quantomeno riduttivo. Come non comprendere la loro natura, del resto? Il loro ambiente naturale li ha forgiati e le esperienze di vita creano la base di dati delle loro conoscenze… in poche parole, nei viali non ci sono gli STOP, ma solo i semafori: di conseguenza, il fiorentino adulto (che non è mica bischero) si fermerà solo ed esclusivamente al semaforo, giammai allo STOP. E’ una semplice legge che viene applicata anche in laboratorio sulle scimmie con sorprendenti risultati: bottone rosso: banana, bottone verde: scossa elettrica. Ora, se si considera che in casentino di semafori, per fortuna non ce ne sono poi tantissimi, possiamo comprendere il disagio di questi poveri avventori.

La definizione di “Turista”, a mio giudizio va molto stretta al fiorentino. Il turista infatti, visita, osserva, si informa, ammira. Il fiorentino arriva, getta scompiglio, infama ciò che non comprende cioè tutto, colonizza. Osserviamolo più da vicino.

L’agognato confine!

Una volta varcato il confine (La Consuma) il fiorentino tipico viene preso dal panico da guida Michelin. Egli infatti, ad ogni curva sente il bisogno di consultare la mappa stradale del Touring Club Italiano, edizione 1937. Giunto a questo chilometraggio, egli comincia ad essere un pesce fuor d’acqua: i viali sono oramai lontani, ogni curva, guard rail, cartello stradale, ogni ciuffo d’erba al lato della strada è una minaccia, un pericolo per l’incolumità della sua Fiat seminuova. E’ tutto così stretto con due sole corsie, così verde, con tutti quegli alberi al posto dei lampioni… è chiaro che ci si sente portati a viaggiare rigorosamente sopra la riga di mezzeria! E’ confortante.

Arrivati al Borgo alla Collina, primo avamposto a presidio del territorio casentinese, il fiorentino ha già totalizzato circa: 2 corriere della LFI mandate in fossetta per cercare di evitarlo, 7 pedoni spaventati da passaggi radenti alla Top Gun, 27 vetture smadonnanti in coda dietro di lui a causa della propria velocità (30km/h, a favore di vento). Una volta giunto in Casentino, il fiorentino, ritrovandosi in mezzo a paesi con meno di 700.000 abitanti si trova smarrito. Strade strette, ponti, fiumiciattoli, incroci senza semafori… Onde poter espletare i propri bisogni fisiologici, egli pensa di fermare la propria vettura nei pressi del primo Bar che incontra. Per fare ciò, infilerà la bellezza di tre sensi unici (dalla parte sbagliata, ovviamente), e parcheggerà di traverso sulle strisce davanti al portone del Pronto Soccorso.

Ma non lo fa per cattiva volontà o per ribellione: proprio non ci arriva. E’ candida la faccina beata del fiorentino che viene apostrofato pesantemente dal nostro concittadino casentinese quando l’oriundo gli parcheggia la centoventisette in giardino, sradicando tre metri di siepe con la retromarcia e facendo saltare il tavolino con le sedie comprate da Marino fa Mercato.

Nelle sistemazioni, poi il fiorentino tipo è incontentabile. L’albergo ovviamente non è all’altezza: non c’è l’ascensore (ma neanche il primo piano…), “per la holazione ‘iccaffellatte gliera diaccio marmaho”, la notte non dorme in quanto il plaid di lana sotto al coltrone non gli basta: perché in fondo siamo in campagna e la notte in campagna c’è freschino. Anche d’agosto. Ma il momento clou dell’esperienza del fiorentino in casentino è quando si accinge a visitare le bellezze artistiche della nostra terra. E’ testimone lo scrivente di una coppia di fiorentini i quali, con guida alla mano dentro a una pieve, leggendo “polittico ligneo del secolo XIII”, la signora si sia rivolta al marito dicendo: “ah ecco. anche questa l’ha fatta il Lignèo!”. Da notare che, come aggravante, stavano guardando il crocefisso.

E’ dura la vita del fiorentino in casentino. Addirittura drammatica se vuol raggiungere il santuario de La Verna. Già a Borgo alla Collina chiedono indicazioni, ringraziano e si dirigono felicemente verso Pratovecchio. Capito l’errore (la signora teneva la mappa al contrario), riprendono la strada fino a raggiungere Bibbiena. Una volta compreso che bisogna salire a Bibbiena alta per arrivare alla Verna, costeggiano viale Michelangelo e una volta giunti all’incrocio con l’indicazione per “Chiusi della Verna” diligentemente sbagliano direzione e si ritrovano al Corsalone. Rimandati indietro, impiegano circa due pieni del serbatoio della loro vettura per comprendere che davanti al ristorante “Da Spartaco” bisogna girare a sinistra. Ma girano poco a sinistra, ed invece di imboccare la strada indicata ancora una volta dall’apposito segnale, si infilano nel centro storico del paese, gettando scompiglio tra la popolazione residente. Per uscire dai sensi unici di Bibbiena, il fiorentino lascerà quale ricordo del proprio passaggio dei doverosi tributi quali strisciate di vernice nelle pietre della Porta de’ Fabbri, pezzi di paraurti nero negli angoli di via Poccianti. Tornato all’incrocio di cui sopra, finalmente comprende che quel cartello giallo a punta con la scritta nera “Chiusi della Verna” indica probabilmente che bisogna andare in quella direzione per il santuario. E qui, le tracce del nostro fiorentino si perdono, il quale rinfrancato dalla propria mappa guida felice tra le campagne verso l’agognata meta.

Un’altra categoria di fiorentini sono gli “oriundi”. Da sempre molti casentinesi si sono trasferiti per lavoro a Firenze. E molti di essi posseggono ancora la casa nella nostra vallata, nella quale trascorrono almeno 2 mesi d’estate. Ebbene, questi fiorentini differiscono di poco dai turisti. Imboccano ogni anno regolarmente il senso unico nella direzione sbagliata (nonostante quel senso unico sia li fin dal tempo del Cardinal Dovizi), sbagliano la strada (anche quella che li porta a casa), si fermano d’improvviso causando tamponamenti a catena, tengono velocità prossime ai 30km/ora perché non conoscono la strada.

E’ dura anche la vita del casentinese, costretto per due o tre mesi all’anno a convivere con questa piaga. Fin da piccoli si impara a guardare bene prima di attraversare la strada, ma da luglio a settembre, ci viene anche insegnato di stare attenti alle centoventisette caffellatte e alle punto grigie, o comunque a tutto quello che si muove e che riporti sulla targa la scritta “FI” o il giglio rosso. Sappiamo per esperienza che se davanti a noi c’è una macchina di Firenze, è meglio cambiare strada e fare la lunga: si arriva dopo, ma almeno si arriva… Mai dare indicazioni troppo precise ad un fiorentino: non le capirebbe, si spreca il fiato. Mai dire “vada verso Poppi, poi segue per Bibbiena”: bisogna parlare la loro lingua: “vada verso piazza Beccaria, dopo ‘issemaforo la gira a destra, la hosteggia ‘ipparcheggio, poi va fino in fondo per tre semafori poi la hiede…”

Tipico turista fiorentino

Alla fine dell’estate, quando gli alberghi smobilitano, le nuvole tornano a farla da padrone, i fiorentini caricano le loro valigie e ripartono a sciami verso le loro terre. Stanchi, perché la vita fuori dalla città è dura, ma rinfrancati nello spirito. E telefonando da Bibbiena ai figli per preannunciare la partenza, come d’obbligo diranno: “si siamo a Bibbona, si parte ora… I’mmare? Come i’mmare? La un s’è miha visto i’mmare. No un ci siamo andahi: gliera hattivo tempo…”.