Un uomo, ricoverato in manicomio fin dall’età di 10 anni, passa gran parte del suo tempo ad incidere con una fibbia del panciotto, una parete dell’istituto nel quale è rinchiuso. E crea un graffito lungo 180 metri e alto 2, nel quale sono descritte e disegnate storie di astronavi, di allunaggi, di conquiste di paesi, formule, collegamenti telepatici, di razze spaziali “col naso a Y”, di armi tecnologiche, di virtù magiche dei metalli.
Non è la sceneggiatura di un film: è una storia vera.

La cosa che lascia stupefatti, osservando le foto dell’opera di Nannetti (o NANOF, o NOF, NOF4 come si firmava), è la “lucidità” di quello che scrive e che disegna. Pur non avendo potuto studiare, scrive con caratteri che ricordano quelli usati nelle formule alchemiche di 400 anni fa, disegna con precisione antenne, animali, parti meccaniche. Nella sua follia, così si presenta:

“Per sistema telepatico mi sono arrivate cose che paiono strane ma sono vere. Io sono un Astronautico Ingegnere Minerario nel sistema mentale. Questa è la mia Chiave Mineraria. Sono anche un Colonnello dell’Astronautica Mineraria Astrale e Terrestre”

Se si analizza quanto scritto, appare subito una estrema lucidità: si definisce un “astronauta”, cioè un “viaggiatore” del sistema mentale, ovvero del disagio di cui soffre. Il termine “Minerario” lascia capire che con la sua opera vuole “scavare” nella sua mente, e il concetto di “Chiave Mineraria” potrebbe far intendere che la sua opera è la “chiave” per capire il pensiero che Nannetti vuole esprimere.

Ma andiamo con ordine.

Oreste Fernando Nannetti nasce a Roma nel 1927 da Concetta Nannetti e da padre sconosciuto. Dopo le elementari, cominciate in un istituto privato, fu accolto, a soli sette anni, in un istituto di carità, dal quale, tre anni dopo, a soli dieci anni, fu trasferito in una struttura per minorati psichici. Per un lungo periodo fu ricoverato anche all’ospedale Forlanini di Roma per curare una grave forma di spondilite.

In questi anni non si hanno documentazioni relative alla sua vita fino al 1948 anno in cui viene emessa una sentenza di proscioglimento, a Roma, di Nannetti dall’accusa di oltraggio a pubblico ufficiale per “vizio totale di mente”. Nel 1958 fu trasferito dall’Ospedale Psichiatrico di Santa Maria della Pietà di Roma a quello di Volterra (lo stesso dove fu ospitato anche Dino Campana), dove l’anno successivo passò alla sezione giudiziaria Ferri (una struttura nella quale si arrivò sino a contenere 6.000 “indesiderabili” e nella quale morirono per “cure” migliaia di persone, dove venivano rinchiusi anche gli anarchici o coloro che avevano qualche sintomo di depressione, una struttura con venti lavandini e due water ogni duecento degenti), per scontare una condanna di due anni. Nel 1961 fu trasferito alla sezione civile Charcot, per poi tornare, tra il 1967 e il 1968, all’ex giudiziario Ferri, fino al suo trasferimento per dimissione all’Istituto Bianchi nel dicembre del 1973.

Durante il ricovero a Volterra, Nannetti ha realizzato un “libro graffito” realizzato nel muro del reparto Ferri. Lungo 180 metri per un’altezza media di due, inciso con fibbie di panciotto, parte della divisa del matto di Volterra. Il suo libro, in cui narra di una storia e di una geografia, di una chimica e di un’astronomia chiaramente parallele alla nostra, in cui periodicamente lui stesso appare. La grandiosità del suo discorso ci trasporta in una dimensione dell’immaginario nel suo ragionare di tecnologie, di pianeti, di eventi storici immaginari. Ma anche verso il meraviglioso, attraverso diagrammi quasi alchemici, in cui vengono associati metalli, figure geometriche, colori, numeri, creando una sorta di “scienza delle corrispondenze” che ci riporta agli albori della scienza occidentale, ma si fonde con le tecnologie contemporanee. In seguito realizzò un altro graffito sul passamano in cemento di una scala di 106 metri per 20 cm.

Negli anni dell’internamento scrisse diverse cartoline mai inviate a parenti immaginari. Qui compare la firma Nanof o Nof, talvolta Nof4 e dichiarazioni d’identità. Nannetti si definisce: colonnello astrale, ingegnere astronautico minerario, scassinatore nucleare. I testi di Nannetti raccontano di conquiste di stati immaginari da parete di altre nazioni immaginarie, di voli spaziali, di collegamenti telepatici, di personaggi fantastici, poeticamente descritti come alti, spinacei, naso ad Y, di armi ipertecnologiche, di misteriose combinazioni alchemiche, delle virtù magiche dei metalli, ecc. In seguito, fornito di carta e penna, produrrà circa 1.600 lavori.

Nannetti non aveva studiato, l’unica istruzione certamente documentata è quella dei primi anni delle scuole elementari, e forse l’unica esperienza culturalmente significativa da lui fatta era stata il lavorare come elettricista per il futurista Severini, impegnato nella realizzazione di un mosaico in un palazzo dell’EUR, il quartiere fascista di Roma negli anni ‘30 del ‘900.

Nannetti Oreste Fernando è morto a Volterra il 24 novembre 1994. Il graffito del Ferri è ormai in totale disfacimento. La balaustra è stata abbattuta. I lavori cartacei bruciati in quanto effetti personali dopo la morte di Nannetti, in assenza di parenti a cui inviarli. Fortunatamente erano stati in precedenza fotocopiati.

Nannetti scrive un capolavoro, le interpretazioni del suo immenso graffito, di quest’opera ciclopica sono le più svariate, quello che è certo è che Nannetti esiste attraverso i suoi graffiti ed i suoi scritti, avendo un’esistenza negata la afferma attraverso un atto artistico e di volontà insieme che fa salire i brividi. Documenta la violenza ed i crimini ai quali ha assistito con immagini di poetica crudeltà:

“10% deceduti per percosse magnetico-catodiche, 40% per malattie trasmesse, 50% per odio, mancanza di amore e affetto.”

Scrive Adolfo Fattori nei Quaderni d’altri tempi, ricordando le sue impressioni alla vista, nel 1994, del graffito ancora pressoché interamente visibile: “le fitte righe del testo di cui è composto, con i disegni e le illustrazioni che lo interrompono ogni tanto danno l’idea di un flusso ininterrotto di parole, di suoni, di immagini. Un’enciclopedia del mondo trattata quasi come dialogo interiore, e comunicata a questo stesso mondo con urgenza, magari disordine, comunque determinazione”. Ma è Lara Fremder, nello stesso numero monografico, che ci porta in direzione dell’interpretazione, vera o no che sia, della quale vogliamo abusare qui: “Forse è andata così, è andata che un uomo apparentemente senza storia cerchi di scriversene una e che per farlo scelga un muro, un grande muro, una superficie di 180 metri, l’intera facciata di un ospedale psichiatrico. E che cominci così a scrivere e a disegnare e a ordinare tutto dentro pagine graffiate con forza sulla parete”. E allora si giustifica il titolo, di questo contributo: Nannetti scrive per esistere per lasciare, certo, qualcosa, per rompere un muro, ma, primariamente graffia il muro per esistere. Racconta una storia, racconta ciò che vede (che si tratti di vista nel senso comune o della vista ulteriore), racconta, in fondo, se stesso.

Nannetti ha raggiunto lo scopo, in effetti, l’esistenza negata gli è stata riconsegnata, piano piano molti si stanno occupando di lui, del suo lavoro, della sua esistenza. Si è costruito un’identità che gli era stata negata dalla violenza dell’istituzione manicomiale (come non pensare a Foucault?). Il muro poi, la scelta, incredibile, di comporre un enorme opera in un muro, graffiandolo con arnesi di fortuna quali le fibbie del panciotto della divisa manicomiale, la fatica, la forza fisica che ci vuole, al di là delle intenzioni (gli sono state attribuite anche capacità di comunicazione con gli alieni) appare proprio come un’affermazione di identità “nonostante tutto”.

Un’identità peraltro rispettosa, ad un’urgenza così forte, corrisponde la delicatezza estrema, Nannetti alla domanda dei medici (che arrivò dopo circa dodici anni d’internamento) sul perché il suo graffito, in alcuni punti saliva e scendeva, come a formare delle onde, rispose che NOF4 non se la sentiva di chiedere agli altri pazienti di spostarsi dal muro dove si appoggiavano per farsi scaldare dal sole.

Le Immagini

I Video

27/01 – Appunti per il Giorno della Memoria

Io ci sono stato, la dentro. Quando arrivi ad Auschwitz I, la prima cosa che noti, ancora prima di varcare il tristemente famoso cancello, sono le reti deformate. Quelle reti che furono elettrificate, e che, ti spiegano le persone del posto, sono state deformate delle persone che ci si gettavano contro di corsa: “almeno la facciamo finita subito”.

Vedere quel cancello con la scritta mette i brividi. E non è una frase d’effetto. L’effetto è quello di vedere materializzato davanti a te l’orrore in tre semplici parole: “Arbeit Macht Frei”. Da quel momento, non hai più parole, la voce la lasci fuori. Non c’è bisogno di parlare. Li, prima di entrare, se ti guardi attorno, sembra tutto in bianco e nero. Forse perchè tutti conosciamo bene quei posti, li abbiamo visti in centinaia di vecchie foto nei libri. Poi entri e vedi l’orrore. Entri nell’orrore.

E qui, ad Auschwitz I l’orrore è ancora più bastardo perchè regna l’ordine. Palazzine ben tenute, vialetti, piccoli piazzali. Poi entri nelle palazzine e vedi nei sotterranei le camere delle torture. Le prime piccole camere a gas, i graffi insanguinati che da 60 anni stanno li sulla parete. Si vedono le ruote di pietra usate per schiacciare i bambini, le stanze dove Mengele si divertiva a iniettare acqua salata nei bulbi oculari delle persone così, giusto per vedere che effetto che fa. Si vedono stanze di 5 metri per 5 profonde 3 piene di occhiali. Un altra piena di spazzole. Un altra di pettini. Non è dato sapere quante quanti siano, ma l’enormità non è esprimibile con un numero preciso. Si sta in silenzio. Non c’è niente da dire. Li nessuno parla. Non ce n’è bisogno.

Io ci sono stato, la dentro. Ed ho provato nausea. Non per le scene che si immaginano successe li sotto ai tuoi piedi. Nausea per appartenere a quella stessa razza (termine appropriato, li…) che ha osato tanto.

Poi si esce e ci si dirige ad Auschwitz III, la famigerata Birkenau. Quel campo di sterminio visto in Schindler’s List, per capirci. Già da lontano vedi la sagoma di quella costruzione allungata con la torre e quel tunnel centrale dal quale entravano i treni. E cominci ad avere paura. Si ha la sensazione di essere su quel treno e di essere destinati a dover entrare là. Brividi. Qualcuno con gli occhi gonfi si sofferma e guarda l’entrata ma non ce la fa ad entrare nel campo. Lo capisco ma mi faccio forza ed entro.
Davanti a me una enorme radura, disseminata di grandi capanne di legno, la maggior parte distrutte dai soldati Tedeschi in fuga. Lontano, quello che resta delle torri dei forni crematori. Entro nelle capanne, guardo i trabiccoli di legno dove dormivano in 4,5 o anche più in un metro e mezzo di spazio. Le capanne latrina, riscaldate solo dagli escrementi. Ci ritroviamo a camminare a fianco dei binari. Quanti ne sono scesi qui, dove sono adesso? Non ce la fai a darti una risposta. Ti senti in colpa e non sai perché.

L’istinto ti porta all’apoteosi. Il forno crematorio. Quei bastardi hanno fatto saltare tutto prima di andarsene. Ma ancora si intravedono le scale che scendono sottoterra, i locali con le pareti piastrellate da cui spuntano dei ganci ironicamente numerati. “Ricorda il numero dove lasci il vestito” sicuramente avranno detto, sogghignando. Anche li dentro le rotaie. Di un treno più piccolo, composto da una serie di carrelli sui quali venivano caricati industrialmente i cadaveri ammazzati dallo “Zyklon B” e portati nel locale accanto, dove c’erano i forni.

Non è una illusione. Ancora, li c’è odore di morte.

Io ci sono stato, la dentro. E le sensazioni che si provano in quei posti non hanno uguali. Milioni di persone sono accanto a te mentre cammini, leggere, nel vento.

La morte è dolorosa. L’uomo ha saputo renderla atroce.

PSICOPATOLOGIA DEL CLIENTE

Piccola guida ad uso e consumo di chi si avvicina al mondo del commercio, e perché no, di quei clienti che vorrebbero un diverso trattamento da parte di chi sta “dall’altra parte” del bancone.

"No io non lavoro qui, indosso un gilet verde scuro con sopra il logo ed il nome di questo posto solo perché ritengo che faccia molto FIGO!"

PRIMA LEGGE: Il cliente è fondamentalmente stupido.

  • Nonostante la prima legge, il cliente non va mai turlupinato o preso in giro. E’ lui che porta i soldi. Le sue richieste, quando umanamente o tecnicamente possibile (cioè quasi mai), vanno assecondate.
  • Il cliente parla una lingua al limite della comprensione. Esempio tipico di richiesta del cliente: “Vorrei quel coso che poi ci si fa, dai… Quello per quella cosa li in basso che ci si mette un affare…Quello grigio!”
  • Il cliente usa la terminologia che sente in TV, e ovviamente la storpia. Non ha più un telefono cellulare, ma ha uno smartphone (che ovviamente storpia in “starfòn”, “starton”, “farfon” o peggio), vuole prodotti “senza radicali liberi” anche se compra un forno a microonde, qualsiasi pizzeria al taglio diventa il Mecdonalz, tutto è “multimediale”, compreso l’arricciacapelli per la moglie… Inoltre, vi ripeterà gli slogan della TV: quando acquista un balsamo da 1,50€, strizzerà l’occhio con compiacimento alla cassiera dicendole “sa, perché io valgo!”
  • Il cliente ha sempre un amico o parente che se ne intende. Se deve comprare un computer, ogni 3 parole vi ricorderà che lui ha un cognato che ha una figliola che lavora all’ASL, e loro, li in ufficio, coi computer ci lavorano… Quindi, per traslato, lui è Bill Gates in persona. Se deve comprare una canottiera, non si risparmierà certo di ricordare che la su figliola una volta ha fatto un colloquio per entrare a lavorare in una tabaccheria, però vicino ad un negozio di abbigliamento, quindi lei si che è una vera esperta di tessuti! Il mondo è pieno di fratelli di amici di cognati di vicini di casa che ne sanno molto più di un semplice commesso… Che ci volete fare?
  • Il cliente non può vivere senza i prodotti o i servizi che vede in televisione, anche se non ha la più pallida idea di cosa siano. Così si vedono persone che chiedono le “Lambergèc” in salumeria, il “Tresòrdelancom” in libreria, lo Suòc (Swatch) nel negozio di telefoni, lo smartphone nel negozio di abbigliamento e così via. Quando riescono ad avere l’oggetto tanto bramato, esclamano: “ah, è questo? e a cosa servirebbe?
  • Il cliente non ha la minima idea di cosa sia una carta di credito. Per il cliente, una carta di credito, un bancomat, la tessera sanitaria, la tessera della bocciofila, la raccolta punti Agip o la tessera dell’estetista sono esattamente la stessa cosa. E se ti azzardi a fargli notare che non può pagare in un negozio con la tessera della pesca sportiva, si incazza pure, asserendo che “ha sempre pagato con questa,  se in questo negozio non la prendete non sono affari miei”.
  • Il cliente non ha idea di come funziona la garanzia. La domanda che fanno tutti è: “ma la garanzia c’è?”. Certo che c’è, idiota, lo stabilisce la legge Italiana, non è un accessorio che si può mettere o no! La garanzia copre malfunzionamenti o difetti di fabbricazione, non rotture o danneggiamenti più o meno volontari! Se una maglietta è stata mangiata dal cane, non si dovrebbe riportarla al venditore dicendo: “l’ho lavata e mi è uscita così dalla lavatrice: me la cambia vero?”. Se la fotocamera vi è caduta a terra e ci siete passati sopra con l’automobile, non presentatevi dal venditore urlando che “me la deve dare nuova perché è in garanzia!”. Spesso, su questo punto il cliente bara: un cellulare che “ha smesso di funzionare all’improvviso mentre telefonavo”, di sicuro una volta aperto presenterà mezzo litro d’acqua (o altri liquidi meno nobili) all’ interno… Un automobile nuova appena comprata che si ferma dopo 3km, nel 99% dei casi ha subito un pieno di carburante sbagliato. Ma il cliente insisterà: “no sono sicuro, era gasolio!” Appunto, hai comprato una automobile a benzina…!
  • Il cliente non sa leggere e/o ascoltare. Spesso torna insospettito dal negoziante chiedendo “cosa è questa scritta strana che mi è comparsa sul telefono”? C’è semplicemente scritto “Lei ha appena effettuato una ricarica da 5 euro”. Non è difficile. E’ lingua italiana corrente. Un poco di impegno, per la miseria. Quando si fa il numero di un call center, basta ascoltare le istruzioni che vengono date (sempre in lingua Italiana corrente!) invece di presentarsi incavolati dall’esercente esclamando frasi sconnesse tipo “non ci capisco nulla” o “sento le voci”… Se in una confezione c’è scritto “Premere QUI per aprire”, non ci si può presentare dopo dieci giorni incazzati e urlare “mi dica lei come si fa ad aprire questo coso!”
  • Il cliente non ti ascolta! Ti fa parlare per dieci minuti poi esclama: si ma come sarebbe? Esempio tipico: “Per 2 euro a settimana chiami gratis per un ora”. “Ah. E quanto costa?” “2€ alla settimana”. “Ah, 2€ al mese” “No, 2€ alla settimana. Al mese sono 8€” “Come? 8€ alla settimana? Ma siete matti? è un sacco di soldi” “No! 2€ alla settimana, in un mese ci sono 4 settimane, 2×4=8€ al mese”. “Ah ecco. E parlo quanto voglio?” “No, ha un ora di chiamate” “Un’ora? E quanto sarebbe?” “Come quanto sarebbe?? Un ora sono sessanta minuti” “Si, ma sessanta minuti come?” “Sessanta minuti come sono? Sono sessanta minuti in tutto il mondo!” “Ah va bene. E quanto costa?” “2€, come le dicevo prima!” “Ma 2€ al mese?” A questo punto il venditore deve avere il sangue freddo per non accoltellare l’avventore…
  • I clienti arrivano tutti assieme. Se per 3 ore e mezza non si è presentato nessuno al negozio, tranquilli, i clienti arriveranno tutti assieme contemporaneamente, normalmente a 2 minuti dalla chiusura o 5 minuti dopo la chiusura. Addirittura avranno l’accortezza di comparire in ordine decrescente di tempo da dedicargli. Il cliente che per servirlo ci vorrà un ora e mezza entrerà per primo, quello che deve fare una cosa da trenta secondi, per ultimo. E’una legge della natura…
  • La vecchia con la borsa. Fate attenzione alla vecchia con la borsa gigante! Avrà sicuramente bisogno di chiarimenti circa un oggetto che ha acquistato da voi, e tale oggetto sarà gelosamente custodito più dell’arca dell’alleanza! Aprirà la borsa, cercherà negli scomparti, tirerà fuori una seconda borsa che ne conterrà una terza più rigida, dalla quale estrarrà un primo ed un secondo contenitore, al cui interno avrà una custodia contenente un borsello, che avrà all’interno un primo sacchetto di lana, poi un secondo di stoffa ed un terzo di cotone, con all’interno una fodera con all’interno l’oggetto avvolto in un panno di lino. Perché altrimenti prende la polvere. E intanto si è fatta sera. Una volta servita, la signora impiegherà altre 2 ore per tirare fuori il portafoglio (secondo la procedura sopra descritta). Nel frattempo, potete servire i successivi sette clienti.
  • Qualsiasi cosa voi vendiate (abbigliamento, TV, automobili, telefoni, accessori da regalo, barche a vela, soprammobili o cartoline), l’uomo vuole quello visto in TV, la donna quello ROSA!
  • Verranno tutti a comprare il regalo di Natale  il 24 Dicembre a 3 minuti dall’ora di chiusura! E se non hai esattamente quello che vuole il cliente (in genere oggetti assurdi, visti su un “Grand Hotel” del 1986), questo darà in escandescenze urlando frasi del tipo “E ora cosa c*zzo gli regalo io al mì figliolo?”.
  • Se volete un posto sicuro dove scrivere le password del computer, il codice dell’allarme e la combinazione della cassaforte, scrivetelo pure nel cartello dell’orario appeso alla porta: state tranquilli, NON LO LEGGERA’ MAI NESSUNO AL MONDO!
  • Il cliente pensa che il negozio sia sempre aperto, 24ore su 24. Evidentemente, quando le luci sono spente, la porta chiusa, la saracinesca è abbassata e sono le 3:20 di mattina, è inutile affacciarsi al vetro per vedere se c’è qualcuno all’interno. Non viene il sospetto che sia CHIUSO? Se il negozio non è dotato di saracinesca, è facile vedere il cliente che tenta in tutti i modi di aprire la porta (chissà, forse c’è qualcuno all’interno…).
  • Il commesso non ha più una vita privata o sociale. Buttate via il numero del cellulare e staccate il telefono di casa. Nel campanello di casa scrivete un nome finto. Perché il cliente avrà la necessità di contattarvi in qualsiasi momento della giornata per farvi una domanda circa gli argomenti di cui sopra, o perché all’improvviso ha finito la cartuccia della stampante, o ha finito il credito del telefono, o gli si è staccato un bottone o altro. In quel caso, a qualsiasi ora del giorno o della notte, il cliente riesce tramite una serie di telefonate a sapere il vostro nome e cognome e vi cercherà finchè non vi avrà trovato. A costo di telefonare a tutti quelli con il vostro cognome della provincia o di fare 90km in taxi per venire a suonare al vostro campanello. Non potrete più uscire: se andate al cinema, a ballare, in un pub o ristorante, o dall’altra parte del mondo in vacanza, spunterà sempre fuori il cliente ad importunarvi con le sue domande assurde, iniziando la frase con “guarda chi c’è! a proposito…”. Naturalmente vi rintracceranno anche il giorno di Natale alle 12:30 durante il pranzo con i familiari: se squillerà il telefono o suoneranno alla porta, non aprite. Sarà sicuramente un cliente che vuol comprare il regalo di Natale.
  • Quando piove, nevica o comunque le condizioni meteo sono proibitive, preparatevi al peggio! In tali condizioni quando  non uscirebbe di casa neanche Messner con la muta di cani slitta, ovviamente gli unici esseri umani che si avventurano per il globo terracqueo sono i peggiori clienti: la sottocategoria degli psicoclienti, psicopatici che sfidano le forze della natura per venire a chiederti le cose più assurde ed improponibili, tipo “come mai da quando ho cambiato il cinturino, questo orologio fa tic tac? Prima non me lo faceva mica, sa?”.
  • Quando hai appena pulito il pavimento del negozio, anche in piena estate e con la siccità, tempo 10 secondi ed entrerà il cliente con gli scarponi infangati fino al ginocchio, con lo zaino dal quale cadono le zolle di terra bagnata accompagnati dal cane a pelo lungo (bagnato) che si scuoterà ripetutamente la fanghiglia e le pulci su tutto l’arredamento circostante. Il tutto per una semplice domanda: “ma domani siete aperti?”
  • Il bambino piccolo e la mamma maledetta. Quando entra un bambino piccolo in negozio, a menoché non sia saldamente legato ad un passeggino, chiamate i Caschi Blu dell’ONU, i Vigili del fuoco e una ambulanza. La stronza della mamma non lo baderà un attimo, e l’infante approfitterà per DEVASTARE comletamente l’arredamento e le suppellettili del negozio, senza che la stronza gli dica neanche un “stai fermo” di circostanza. Quando avrà rotto 15 vetrine su 20 con i cristalli sparsi in tutto il locale, divelto dal pavimento tutte le bacheche, cominciato a sradicare i listelli di parquet, abbattuto i lampadari con la fionda e sfondato il bancone a calci, ed il commesso si azzarderà a dire “piccolo attento che così ti fai male”, la mamma vi guarderà con tutto l’odio del mondo urlandovi “MA E’UN BAMBINO!!!!!”. (Che noi ci auguriamo che non diventi mai grande!)

In conclusione… Se rileggendo quanto scritto sopra, qualcuno di voi pensa: “Perché? che c’è di strano?” di uno qualsiasi dei punti esposti, vi consiglio di farvi una bella seduta di psicoanalisi prima di entrare in un qualsiasi negozio. Ne va della salute di quei poveri cristi che stanno li A LAVORARE dalla mattina alla sera…

A volte, quando le cose non vanno nel migliore dei modi, ti fermi e pensi. Ultimamente per mia fortuna, in uno di questi periodi grigi, mi sono tornate in mente quelle cose per le quali è valsa la pena aver vissuto questi anni. La chitarra di Steven Rothery in “Incubus”, la poesia di Faber, assistere ad una lezione di Margherita Hack, la stampa in miniatura del Sonetto XVII di Pablo Neruda che portavo sempre con me nel portafoglio perché era come avere sempre “lei” con me, gli occhi che ancora oggi diventano lucidi quando leggono quel Sonetto XVII perché “lei” non è più con me. E l’ironia di Stefano Benni, il Rock Progressivo degli anni ’70, Firenze vista da Piazzale Michelangelo di sera, La Golf del 99, il 3° atto dell’Andrea Chenier di Umberto Giordano cantato da Maria Callas. Il Cervino che si riflette nel Lago Bleu, l’eclisse di sole vista con la radiografia in mano in una piazzola di servizio in Austria, e quella notte d’inverno del ’91, da militare, essere svegliati dalla guardia che ti dice “ragazzi, è scoppiata la guerra”… La cassetta di Misplaced Childhood dei Marillion registrata dallo Zampa sulla mitica TDK da 45, i film di Totò, l’esultanza di Tardelli del 1982, Bombolo, la Bibbienese in Interregionale, la faccia dei commissari d’esame di maturità quando, come autore a piacere, portai Pier Paolo Pasolini. La tomba di Jim Morrison, le lucciole nel barattolo bucato. Il Muletto, il Biondo, la Nerina, la Picci, il Topino e tutti gli altri animali. Aver cantato “And no more shall we part” con Nick Cave nel 2003 a Roma con le lacrime agli occhi. L’aver acceso il pc nel periodo più nero della mia vita ed aver incontrato le persone più importanti della mia vita. Guerre Stellari visto trent’anni fa d’estate in piazza proiettato sul maxischermo, i mondi creati da Tolkien, Orione visto la sera d’estate. La pizza Tandem del Babilonya. Silvano e la Leda.

 

E le ore ed ore passate con lei a ridere, scherzare e parlare fino a sorprenderci che fosse l’alba…

Io so che tu puoi guarirla, stregone. La mia ragazza caduta dal cielo, polvere di cometa sul mio tetto, lei che muove col pensiero le altalene dei giardini, lei che con uno sguardo dei grandi occhi bistrati gela il ghigno degli spacciatori, lei odorosa di fiori e nitrato di amile, Euridice, lei che ora è spenta, bianca, immobile nella nostra casa, dove tremano di freddo anche i ragni.
Io so che tu puoi guarirla, stregone, è per questo che ho rubato questa macchina nera come un corvo e guido sotto il temporale, dentro al canyon dei dormitori, mentre la pioggia mescola sul mio parabrezza lampi di bufera, rosso di fanali, giallo di supermarket, blu di ambulanze, verde marziano, e per questo che piango, bestemmio, e grido che non voglio perderla.
Io so che puoi guarirla stregone, anche se agli occhi del mondo lei è morta, troppa chimica, troppi libri, troppe notti da sola, quando io ero lontano. Così mi ha detto: si è sempre soli una notte di troppo. Perciò guido a milleduecento all’ora mentre la radio blatera blues, Bach e bugie, io devo salvarla, capisci, stregone? È per questo che se la polizia mi ferma ho nel cruscotto questa pistola tedesca, la grigia, la baiaffa, la durlindana, la bacia-in-fronte, la lunga, la velenosa, la sparachiodi, krazy-kat, e siate-felici. Non ce l’ho con voi, poliziotti, è che sono straniero qui, non parlo la vostra lingua, soprattutto quella del vostro Grande Capo, io non lavoro per i gangster, se devo rapinare rapino in proprio, non mento, sono veramente cattivo io e quando mi capita di esser buono (succede) non lo faccio vedere. Ho uno shuriken a cristalli liquidi. E non colpisco alle spalle. Ho dormito tante volte all’aperto, sono stato svegliato a calci, sono stato interrogato,
picchiato, rinchiuso, mi avete aperto la testa con le vostre urla, ma è storia passata. Ora sono perbene, non bevo più, stregone, ora ho una macchina da scrivere che compone da sola, balla e la notte si illumina e canta come quattro negri tristi, non mangio più i funghi messicani, stregone, e non mi azzuffo più per le ragazze degli altri, non mi arrampico sui
muri, non ho il pungiglione velenoso, come posso convincerti, stregone Mescal?
Io so dove abiti, stregone, c’è un grattacielo tatuato in città che di notte diventa un astronave, si muove, può sparire e ricomparire in qualsiasi punto, tra i lampi del temporale, ma io lo troverò, stregone, sopra di me vola il mio amico nibbio, ha un radar nel becco, ce l’ho messo io. Può stare fermo in aria come fosse dipinto, lui sì che sa volare, altroché
Tomcat, lui è davvero il Re Nuvola, il Coddaventu, il Glada, l’Aquila delle costellazioni. Quando ho conosciuto Euridice lei era senza capelli, stregone, l’avevano rasata per sfregio, e aveva gli occhi gonfi, chiusi per le botte. E giorno dopo giorno i capelli ricrescevano e gli occhi si riaprivano e il colore le tornava sul volto e lei diventava sempre più bella, stregone. L’ho tenuta come un cucciolo di topo, come una patata nel bicchiere, come una piantina magica è fiorita, per lei ho rubato tutte le biciclette della città, stregone, e tutti i libri e i dischi, e la tenevo al sicuro nella nostra casetta che allora non era così fredda, lei stava nuda alla finestra e parlava con una vecchia vampira giù nel cortile, parlavano dei loro genitori morti, la vecchia aveva novant’anni ma ancora li rimpiangeva, era stata trent’anni in manicomio, è lei che mi ha parlato di te, stregone, di quando sventolando il mantello nero correvi tra i reparti, col tuo odore di etere e il passo di gatto, soffocavi nel sonno chi soffriva troppo, oppure spaccavi le finestre e li lanciavi fuori nella notte, riempivi le flebo di sangue di drago perché rimanessero pazzi e salvi, per sempre. Non posso andare più forte di così, stregone, non voglio schiantarmi come un qualsiasi pollo d’allevamento da discoteca, non voglio fare male a nessuno, frenerei anche se in mezzo alla strada vedessi il Gangster in persona con i suoi servi, tutti coi loro sorrisi da fotomontaggio e le pistole puntate. Per poi ficcarti la canna in bocca, come ho visto fare al bar quando uno non li paga, una pistola in bocca a un ragazzino di dieci anni per cinquantamila lire di droga, si può sopportare tutto questo, stregone? E sai cosa dicono questi piccoli mefisti, questi servitorelli sanguinari? “Se cerchi lavoro, te lo trovo io, baby”
dicono, sono tutti entusiasti da quando c’è il Gangster in città, se non ci credi vieni a vedere, ascolta le loro risate davanti alla televisione, è tornata acqua torbida per loro e se la spassano, ma stiamo tornando anche noi, stregone, la sesta generazione è qui, con forti denti e lunghe orecchie, accendi le mille candele nella sala sacra e aspettaci, verremo a sederci davanti a te, sentiremo il richiamo dei nostri amici ovunque siano, attraverso i muri e i deserti. E poi guerra. Calci in bocca. Dolcemente. Perché è possibile vivere in piedi, monsieur Brel.
Lo stregone stava sul terrazzo, fradicio di pioggia, e cercava di riparare un vecchio flipper. Entrai educatamente, col cappello da Stanlio in mano. Lo stregone bestemmiò, tirò un sorso di benzina, sputò in aria una vampa infuocata e disse:
– Vattene, col tempo cattivo non lavoro.
– Dovrai invece — dissi io. — Una mia amica ha bisogno dite
– Che cosa le è successo? — disse lo stregone, mentre un fulmine spaccava in due un camion, giù sulla tangenziale, e le auto della polizia affogavano nel fango di un torrente.
– È morta. Le serve un cuore nuovo.
– Non si possono fare queste cose disse lo stregone. — La bioetica non vuole. Il papa non vuole. Dio non può e non vuole. Il serpente mescal può e non vuole. E poi ci sono cose più importanti. La polizia ha attaccato le case dei senegalesi, loro hanno gettato giù olio bollente e frecce infuocate, è uscito il loro capo, un’elefantessa, ha travolto dodici agenti e tre camionette prima di cadere morta, una tonnellata di carne, ne ho un pezzo in frigo, vuoi assaggiarla?
– Euridice è tutto per me. Ha cambiato la mia vita.
– Chiunque può farlo. Basta uno spillo qua sotto la nuca, nel punto centrale del meridiano — dice lo stregone, e mi punta contro l’unghia dell’indice, lunga sedici centimetri, laccata di nero e intinta nel veleno di migale. Conficcalo in questo punto, e la vittima sentirà una punturina da niente, ma due ore dopo all’improvviso morirà. Ho
ucciso decine di persone cosi, nel metro.
– Non ci credo.
– Infatti non è vero, ma saprei farlo. Vincere la morte, però, non è in mio potere. Hai già sentito questa frase?
– Non ti credo. Euridice è morta, ma tu puoi aiutarla.
– Ti darò un cuore nuovo per lei — sospirò lo stregone. — Non so perché, ma voi ragazzi della sesta generazione mi intenerite. Mettiglielo vicino, sotto le coperte, camminerà e prenderà il posto del vecchio cuore. E brucia tutto quello che hai in casa, libri, sedie, tavoli, deve fare caldo, o il cuore non batterà. Eccolo qua.
– In una busta del supermercato?
– Volevi uno scrigno d’oro, fighetto?
– Quel flipper non funzionerà mai — dico risentito.
– Ding dong, tutto si accende. La pallina vola a prendere schiaffi dai funghetti, il cavallo scalcia, il cowboy salta sulla sella, la bionda si illumina ridente e dal cappello le escono miliardi di punti. Lo stregone sghignazza, i segni di guerra bianchi gli ballano sul volto d’ebano.
– Se funziona il flipper, funzionerà anche il cuore — penso io.
– Voi della sesta generazione siete dei sognatori arrugginiti, dei viaggiatori timidi, dei viziati e dei codardi.
– Sempre meglio degli spettatori della quinta generazione — dico io — e poi chissà come sarà la settima.
– Lupi — dice lo stregone — perfetti, sanguinari, amichevoli lupi. — Socchiude gli occhi e il flipper esplode.
Sono tornato a casa, il temporale è cessato, ho messo nel mangianastri quella favola che ti piace tanto, quella del bambino che doveva camminare tre giorni e tre notti nella neve, per lasciare quel paese orribile, insieme col suo orso. Volevano tornare nella loro patria, o in un’altra, per fare spettacoli e ballare. Chissà dov’è adesso, chissà se ce l’ha fatta. Ma tu Euridice resti bianca fredda e indubbiamente morta e io temo che presto dovrò ritornare tra le fragranti fresche lenzuola del manicomio e aspettare la flebo dorata e la nebbia del roipnol e le discussioni sulla fine del mondo col Pittore dei Cessi Fiat, Mastro Gommapiuma, quello che ha sabotato da solo interi reparti, o con Capitan Corallo, che
quando suonava il tamburo nelle manifestazioni polverizzava col rumore i poliziotti, come i guerrieri di sabbia cinesi.
Lo sai vero, uccellino, che ci sono stati anni e secoli di lotte operaie? Non lo sai? Ti piacerebbe saperlo? Papà e mamma non vogliono e (soprattutto) il Gangster non vuole? Bevi questo te di mescal e leggi nei fondi, se ci riesci. Ho messo il cuore dello stregone sotto le coperte del letto di Euridice. Ma non si muove, pulsa un po’ soltanto muovendo la codina. Fuori sento cori per qualche vittoria sportiva, petardi e mine che esplodono, incitamenti a impiccare qualcuno. In cortile i suoi due colleghi della sesta generazione che stanno partendo con zaini molto più grandi della casa dove abitavano.
– Euridice è morta, grido.
Ti manderemo una cartolina — rispondono, salutando con la mano.
Stanotte, amore, vorrei rileggerti la storia del bambino e dell’orso, o anche quella del dottore inglese, quello che diventava la sua parte oscura, piccola storpia e saltellante, e così evocheremo l’Ombra e lo Specchio e il Doppio, e saremo in tanti che la Morte non saprà più chi prendere.
Eccola, è arrivata, sorridente; pallida, fa finta di niente. È travestita da Allegro Controllore dei Contatori del Gas. Ma intuisco la sua mano di scheletro, nascosta dal guanto.
– Posso dare una controllatina? — chiede con voce da annunciatrice.
– Vaffanculo, mannara, so chi sei. Controlla pure. Euridice non è morta.
– Veramente all’Azienda risulta diversamente — dice seccata la Morte — abbiamo staccato il contatore mezz’ora fa.
– Prova a toccarla — dico e ti smonto osso per osso.
– Non sono fatta di ossa — protesta la Morte — sono un composto biosintetico polimerico molto resistente e ho in memoria dodici trasformazioni virtuali con cui terrorizzarti.
– Anch’io, dico. E mi trasformo in lupo, li su due piedi.
– Mica male, dice lei, e si trasforma in un lupo il doppio del mio.
Ci azzuffiamo. Voliamo giù dalla finestra, lei si rialza per prima e corre su per le scale cercando di raggiungere con le sue zampacce Euridice, se la tocca col suo gelo è perduta, ma io le balzo dietro e con un morso le stacco la coda. La Morte guaisce come un chihuahua. Esce sul pianerottolo il Griso, il pusher della zona, quello che ha fondato il Club Patriottico
Spacciatori, con un mitra Uzi in mano e le mutande nere da ring.
– Cos’è tutto questo casino?
Ci ritrasformiamo, io in un bel ragazzo della sesta generazione e la Morte in una fotomodella bionda di Losangelì.
– Però — dice il Griso — migliora questo condominio.
– Questo ragazzaccio vuole farmi del male — trilla la top-morte.
– Lo sistemo subito — ghigna il Griso.
– Per fortuna arriva il mio amico Dulcinea, un transex-tir alto quasi due metri, bello e truccato come un attore Kathakali.
– Via quel mitra, Griso — ordina — qua non siamo in Parlamento.
– Questo ragazzaccio… — inizia la falsa bionda.
– Va via, Morte, ti riconosco dalla puzza…
– La mannara se la svigna, ma prima di andarsene dice perfida al Griso:
C’è un bel cuore nuovo in quella casa, io non me lo lascerei scappare.
Il Griso si fonda dentro, solleva la coperta, il cuore è li, che sobbalza. Il Griso lo prende
in mano e lo soppesa interessato.
– Con questo ci faccio almeno venti milioni — dice.
Gli affondo i denti nel collo. Suonano le chitarre. Il Griso tira le cuoia, molla il cuore che ballonzola per terra e si nasconde spaventato sotto una cassapanca. La Morte bussa.
– Come va la nostra bella Euridice? — strilla da fuori.
– Cuore — grido — vieni fuori da li sotto.
Neanche a pensarci. Non si muove. Ho un’idea: metto un nastro di samba. I cuori non resistono al ritmo del samba. Eccolo che esce dal nascondiglio e si muove, sistola e diastola, muove l’apice e scuote il culo, dài cuore, salta sul letto, vola dalla mia Euridice, balla amico mio, e infatti il cuore spicca un balzo e si tuffa nel petto di Euridice che lancia
un grido, mentre le schizza fuori il cuore vecchio, nero e raggrinzito. Lo butto al gatto. Gli butto anche tutto il Griso, meno uno stinco. Ma sotto la finestra c’è la Morte che lascia al gatto solo un occhio e si prende il resto.
– Almeno non ho fatto un viaggio a vuoto — borbotta — e se ne va su un furgoncino giallo con adesivi heavy-metal.
Euridice si alza dal letto e dice che ha fame, le preparo cinquanta uova di gallo cedrone, una cipolla dello Yucatan e lo stinco del Griso arrostito al falò di sedia.
– Mi sembra di aver dormito — dice lei.
– Invece eri morta.
– Proprio così — dice lo stregone.
Con un inchino lo ringraziamo. Le altalene dei giardini riprendono a dondolare. Ricomincia a piovere. Preparo il tè. Bisognerà comprare un tavolo nuovo, quello vecchio brucia al centro della stanza e fa un bel calduccio. Bussano alla porta. È un angelo biondo di sei anni con grandi orecchie, insieme a un gigantesco orso col cappello da marinaio.
– Vi interessa uno spettacolo di danze ussare a domicilio? — chiede l’angelo.
– Da dove vieni?
– Il piccolo indica il nord, e fa capire che c’era neve e freddo, che se l’è vista brutta.
– Entrate, scaldatevi — li invito io.
– Ce l’ha fatta, cosa ti avevo detto? — grida Euridice, contenta. — C’è sempre qualcuno che ce la fa.
– Potrei assaggiare un po di quello stinco di bue? — chiede timidamente l’ orso.
– Non è di bue. E lo stinco di un uomo molto cattivo.
– Non esistono uomini cattivi — dice l’orso — se sono cucinati bene.
Lo dice sempre anche lo stregone. Ci fu una gran festa a casa nostra, quella notte. Grazie, stregone Mescal.

Da quelli che come quest’anno non è mai stato
a quelli che tutti gli anni la stessa storia,
Da quelli che non arrivano più al venti del mese,
a quelli che alla fine del mese ci arrivano coi soldi degli altri.
Da quelli che in Casentino ci sono più stranieri che italiani
a quelli che la sera vanno dalle nigeriane dal Mazzi o dalle albanesi alle Cascine:

AUGURI

Da quelli che si sono ritrovati a cinquant’anni in mezzo a una via perché la fabbrica ha chiuso
a quelli che hanno fatto chiudere la fabbrica e sono anche loro in mezzo alla via. Col Porsche.
Da tutti quelli che non se ne può più di tutti questi processi in televisione
A quelli che non ne possono più dei loro processi, e si fanno le leggi per cancellarli.
Da quelli che quest’anno per capodanno si rimane a casa
a quelli che quest’anno per capodanno non si rimane a casa perché ci rimangono solo gli sfigati:

AUGURI

Da coloro ai quali hanno diagnosticato solo una flebile speranza di vivere,
a quei Ruini che li hanno condannati a morte dicendo che la scienza è contro Dio
Da quei cittadini che pagano ICI, IRPEF, INPS, ILOR fino all’ultimo centesimo,
a quei cittadini di un piccolo stato estero vestiti di nero che non pagano più neanche l’ICI
Da quei ragazzi che cantavano e ballavano davanti al compianto polacco,
a quel tedesco che ha già pronte le fascine di legna per i nuovi roghi:

AUGURI

Da quei bischeri che pagano le tasse,
a quei furbi che con quelle tasse ci vanno alle Maldive
Da quelli che la giustizia è uguale per tutti vorrà pur dire qualcosa,
a quelli che sono più uguali degli altri, e vorrà pur dire qualcosa
Da quelli che vorrebbero ma non possono,
a quelli che vogliono, possono, ostentano, se ne vantano, disprezzano:

AUGURI

Tantissimi auguri per un rinnovato Ano nuovo. Fino ad oggi avete avuto un enorme buco di sedere e vi è andato tutto bene. Ma come diceva il mì poro nonno: “alla fine, e finì il pastone all’oci…!”

All’inizio dei tempi, quando la scimmia si era appena evoluta nei primi ominidi, gli unici attrezzi che venivano utilizzati dai nostri antenati erano le clave, per i lavori più fini le selci. Poi il cervello degli ominidi si è evoluto: da un bastone e un sasso si è ricavato una ascia, da un ramo flessibile si è ottenuto l’arco. Col susseguirsi dei secoli, l’intelligenza umana si è evoluta fino a sviluppare una straordinaria tecnologia: oramai sono passati quarant’anni da quando ci siamo spinti fin sulla luna, ed oggi siamo in grado di clonare altri esseri o di osservare l’atomo. Ma non da noi. Nella nostra vallata, chiusa non solo geograficamente, il tempo sembra essersi fermato tra la clava e l’ascia (risulta difficile trovare qualcosa per legare un sasso ad un ramo, in effetti). Il Casentinese medio, infatti, posto davanti ad un telecomando della TV, impiega solo sette secondi per smadonnare e buttarlo dalla finestra. La tecnologia non abita da queste parti! O meglio, se cataloghiamo il contenuto di strumenti tecnologicamente avanzati presenti nelle abitazioni dei nostri concittadini restiamo sbalorditi. Ma dal possedere l’oggetto al padroneggiare l’oggetto la differenza è abissale. Fino dall’automobile, il Casentinese è in difficoltà. Comprano mezzi col climatizzatore quadrizona a controllo satellitare e lo tengono regolarmente spento perché non hanno capito quale è il bottone per accenderlo. Meno male che hanno comprato anche il tergicristallo che si aziona da solo, altrimenti quando piove sarebbero costretti a fermarsi… Il telefonino del casentinese, come abbiamo detto in passato è spaziale: dotato di mille funzioni, indica la strada, funziona da agenda, ci si fanno i giochini, ci si legge la posta elettronica. Ma l’unico bottone che il Casentinese medio conosce è il tastino con la cornetta verde, quello che si usa per rispondere. I rimanenti cento tasti rimangono li per futura memoria. Il Casentinese tecnologicus porta il telefonino sempre in tasca, ma ovviamente spento (altrimenti si consuma la batteria). Se deve chiamare qualcuno si ferma alla cabina telefonica, perché in tutta quella selva di tastini microscopici, per fare il numero ci vorrebbe uno spillo. Posto davanti al computer, il Casentinese perde non solo una buona occasione, ma anche la dignità. Per accenderlo, dopo una attenta analisi di venti minuti della superficie del computer stesso, preme il tastino della stampante. Non parte. Preme quello del monitor. Non parte. E comincia l’avventura delle telefonate al tecnico. Domande tipiche del Casentinese informaticus: “volevo il monitor a colori, ma quando scrivo una lettera lo sfondo è bianco”, “Non mi funziona più nulla” (finita la carta nella stampante), “Perchè, per avere internet ci devo avere il telefono?”, “io ci ho LE MEI” (traduzione: ho l’email) e la sempre bella “Come? il computer lo devo attaccare alla corrente? E come faccio, le prese ce l’ho in quell’altra parete!”. Se avete qualche fortunato (?) amico che ha fatto l’abbonamento al satellite, osservatelo quando è all’opera. Egli possiede le chiavi per la comunicazione globale, potrebbe ricevere notizie ed interagire con tutto il mondo. Ma essendo rimasto contadino a metà (ovvero: del famoso detto “Contadino, scarpe grosse ed il cervello fino” gli sono rimaste solo le scarpe grosse), egli oramai ha memorizzato solo le posizioni relative ai canali porno e al canale dove trasmettono le partite. Memorizzati nel senso che li ha scritti su un foglietto che tiene accanto al telecomando.

L’unico oggetto tecnologicamente avanzato che non rompe le palle è la Playstation. Apri il coperchio, metti il disco, chiudi il coperchio e fa tutto lui. Una manna dal cielo!

Probabilmente l’avversità dei nostri concittadini verso la tecnologia è dovuta alla ignoranza della lingua inglese, come ho già fatto notare. Dovremmo organizzare dei corsi di ON/OFF: nelle prime dieci lezioni spieghiamo il significato della parola ON (accendi) e nelle rimanenti dieci lezioni la parola OFF (spengi). Per chi avesse dei dubbi sono previste delle lezioni di recupero serali…

Il vecchio Henry Ford, l’inventore dell’automobile, disse: “Si ha vero progresso, solo quando i vantaggi della nuova tecnologia sono alla portata di tutti”: per qualcuno sarebbe stato tutto più facile se avesse inventato la vanga!

Quante volte davanti all’astruso comportamento delle nostre compagne ci siamo detti: “o questa de che se sa?”. E come d’improvviso baleno, torna alla memoria la grandiosa ed austera figura della nonna, abile e democratica padrona della famiglia matriarcale, la quale dopo una giornata di faccende raccoglieva il nipotame vario davanti al camino e dispensava castagne e saggezza.

Dove sono finite le donne di un tempo, mi chiedo? State tranquilli, nessuno mi caverà dalla penna alcun sentimento misogino (traduzione per il volgo: non sono di quelli che affermano “la donna? All’acquaio…!”), ma provo un leggero sentimento di nostalgia per le figure femminili di una volta, donne d’acciaio nel carattere, dalla pelle dura forgiata dalla vita senza tanti agi né fronzoli, con le fluenti chiome corvine come il DNA impone, capaci di aggiustare un carretto e contemporaneamente di fare la nanna al nipote sotto all’ombra della quercia.

La donna di oggi è solo lontanamente parente di quella di quei tempi. E non mi riferisco soltanto alle donne (finte) che deturpano piccoli e grandi schermi (finti), in astrusi sceneggiati (fiction) o che ballettano mostrando le poppe (finte). Anche nel nostro Catino (contrazione di Casentino, e sagace metafora per definire una vallata: stasera sono in vena) le mode, le abitudini ed i comportamenti sconsiderati e deprimenti hanno portato ad un progressivo svilimento della figura femminile. La bellezza altera e naturale è stata soppiantata dal troionismo, l’arguzia si è tramutata in abulia, e la intelligenza in inerzia. Per non parlare delle mode. Appena arrivata alla fatidica soglia dei quattordici anni, la donna sente gli ormoni in fermento, il calore che cresce… Non illudetevi: ella è in cerca della sigaretta, in quanto la donna, ancor prima di esserlo, già fuma… Eh si, perché la donna casentinese fuma. L’oggetto del desiderio non è più il maschio, ma la sigaretta! E pensare che non solo fa male, ma rispetto al maschio ci hanno perduto anche dei bei centimetri in lunghezza e diametro… Quando la donna fuma (cioè sempre), il mondo deve fermarsi. Orde di lanzichenecchi possono invadere il tinello, i terremoti possono scuoterle un po, ma l’attenzione della donna è rivolta al loro futuro carcinoma cilindrico. Ovviamente anche le abitudini di chi vive attorno alla donna devono plasmarsi attorno a questo flagello: la donna fuma prima di uscire di casa (e bisogna aspettare che abbia finito), fuma per le scale (altra attesa), e fuma nel tragitto tra il portone e l’automobile (e tutti devono aspettare che abbia finito prima di salire in macchina). Una volta ho provato a nascondere il pacchetto di sigarette alla mia compagna: ha gradito lo scherzo così tanto che è andata in camera ed in tre minuti mi ha fatto le valigie e me le ha fatte trovare sul pianerottolo. E già che era li, si è fumata una sigaretta. Ma i flagelli portati nella nostra vallata dal progresso (oltre al suffragio universale),è la patente di guida. Perché anche la donna casentinese guida! Dio ce ne salvi, ma ella guida! Non starò a magnificare le spericolate doti di guida delle nostre conterranee, mi limiterò a denunciare il dramma che ogni casentinese “accoppiato” vive quotidianamente. Chi ha una sola automobile e la condivide con la moglie, sa a cosa mi riferisco se dico le parole “sedile” e “specchietto”. Indovinato, miei compagni di sventura! La donna quando sale in macchina, smuove tutto quello che c’è da smuovere, tocca, rigira, personalizza, tira levette, gira manopole, pigia bottoni. Sposta il sedile fino a due centimetri dal vetro, avvicina il volante fino ad averlo incastonato fra le costole, gira tutti gli specchietti interni ed esterni a loro piacimento (nota bene: in quelle posizioni non si vede una mazza!), poi, non contenta si dota di cacciavite e smonta la pedaliera, la leva del cambio, inverte le ruote anteriori con quelle posteriori, svita l’antenna della radio, cambia l’ordine dei tappetini e già che c’è svita la ruota di scorta e la riavvita al contrario. Si ignorano le cause di questo raptus. Quando una donna prende la tua auto, ci vuole il carrozziere per ripristinarla. Anche la sua conoscenza delle vetture è approssimativa: “Guarda, quella macchina è uguale a quella di Carla”. “Ma quella è un Mercedes Station Wagon!”. “Perché, Carla cosa ha?”. “La Punto!”. “E va beh, però il colore gli assomiglia”… “Quella è nera, la punto della Carla è gialla…” ed a questo punto ella si zitta e fa la griccia.

E poi, non dimentichiamoci che la donna casentinese vuole essere indipendente: primo sintomo di indipendenza è il lavoro. Giammai qualcuna facesse la casalinga. Ebbene, la donna casentinese lavora. Ella aspira al segretariato, e quando riesce nel sospirato intento ed assume tale incarico, scatta il grottesco. La donna, posta davanti ad un computer, impiegherà solo 14 secondi per distruggere l’hard disk con sedici anni di lavoro. Messa davanti ad una finestra con su scritto “Premere OK per continuare”, con un bottone con la scritta OK grosso come tutto il monitor, ella, seguendo la propria (il)logica andrà a cliccare sui seguenti bottoni: “Start”, “Impostazioni”, “Pannello di controllo”, “Opzioni risparmio energetico”, e cliccando a caso nella finestra, fulmina irrimediabilmente la batteria.

Belli i vecchi tempi, quando non esistevano le MarieDeFilippi, i Costantini, le NovelleDuemila, le Rivombrose, le capigliature “biondo platino con nuance verde muschio primaverile”…

Ecco, lo sapevo. Ero partito con le migliori intenzioni, poi mi sono autoconvinto. E’ vero, dire che le nostre donne debbano stare all’acquaio è un errore grossolano: oggi si sono fatte comprare la lavastoviglie!

Anche oggi, caro diario,  ho ricevuto la visita dei Confratelli Custodi della Santa Verità che mi hanno interrogato sulle Sacre Scritture: sono un buon cittadino, ed ho risposto con competenza a tutte le loro questioni. Ricordo bene cosa succede a chi viene sorpreso senza una copia della Bibbia in casa e a chi non conosce a menadito le Sacre Scritture. Mio fratello due anni fa, ebbe un attimo di incertezza sul Vecchio Testamento: il giorno dopo fu caricato su un treno piombato e spedito, assieme ad ebrei, atei e musulmani al Campo di Convincimento di San Sabba. Da allora non ne ho più notizie.

Purtroppo anche le televisioni sono state bandite, e l’unico modo per restare aggiornati sugli avvenimenti del mondo è l’uso della radio. L’unico canale radiofonico autorizzato a trasmettere è Radio Vaticana (della quale dicevano, quando l’Italia era uno stato laico, che aveva le antenne che trasmettevano la fede con una potenza tale da uccidere gli abitanti dei paesi attorno) e trasmette solo musica sacra e radiogiornali. Quotidianamente ci informano dell’inizio della costruzione di nuovi luoghi di culto. E’ stato appena terminata la riedificazione del Duomo del Castellare di Bibbiena, mentre a Stia verrà edificato un nuovo Convento nei locali confiscati all’ex lanificio. Anche Poppi, una volta terminata la demolizione del Castello, avrà la propria Cattedrale al Pratello.

Quello che mi inquieta è che da un po non trasmettono più notizie sulla Guerra Santa di Liberazione. Strano, perché fino a qualche mese fa, ci riportavano quotidianamente dei nostri soldati che avanzavano e liberavano dai musulmani intere regioni della Turchia, dell’Iran, dell’Iraq, della Arabia Saudita,del Pakistan, della Indonesia e di tutti i paesi del mondo in cui la Parola del Vero Dio era tenuta nascosta da fanatici pagani. Le notizie sono cominciate ad arrivare con sempre maggior ritardo da quando alcuni inviati parlavano della difficoltà per i paesi dell’Occidente Cristiano di mantenere sedici milioni di soldati impegnati in una guerra mondiale, ed il malumore nella opinione pubblica cresceva. Chissà, io ho fede in Dio, e spero che i miei figli, arruolati d’obbligo nel Battaglione Paracadutisti “Goffredo di Buglione” tornino dal Pakistan prima possibile e tutti interi.

Caro Diario, il Signore mi perdonerà se mi sorge un dubbio: questa Guerra Santa di Liberazione iniziò per liberare l’Afghanistan dai Talebani, gli studenti coranici che distruggevano opere d’arte con la dinamite, bruciavano dipinti e libri che non si confacevano con i dettami del Corano, schiavizzavano le loro donne costringendole ad indossare dei sacchi fino ai piedi… Ma questo somiglia molto a quello che è stato fatto nel nostro paese: a Firenze, gli Uffizi sono stati chiusi, tutti i quadri che mostravano figure umane nude sono stati disciolti nell’acido, il David di Donatello è stato fatto saltare in aria col tritolo, i libri ritenuti “non consoni” sono stati bruciati, le Moschee e le Sinagoghe presenti nel territorio della Repubblica Cattolica Apostolica Italiana sono state dapprima sequestrate, poi confiscati i loro beni e successivamente distrutte pietra su pietra. Anche le donne, in quanto ritenute esseri impuri, sono state escluse dai posti di lavoro, e l’unica attività che è stata loro concessa è la casalinga o la Suora. Caro Diario, questi dubbi mi assalgono sempre più spesso. Forse sto perdendo la via della ragione, o forse mi stanno tornando alla mente i tempi in cui la Repubblica Italiana non era stata costretta a firmare i rinnovati Patti Lateranensi, con i quali il Vaticano otteneva il diritto di supervisionare la vita politica e spirituale della Nazione.

Ricordo bene quello che mi disse mio nonno dopo che, il 12 Giugno 2005, la Chiesa si mobilitò in massa per far fallire il Referendum sulla Fecondazione Assistita. Egli, mi prese in disparte e mi disse: stai attento, questi sono peggio di quello che sembrano. Iniziano a vietare la Fecondazione, poi vorranno abolire l’Aborto, poi il Divorzio, poi la ricerca scientifica. Se qualcuno non li ferma, questi ci fanno tornare al Medioevo, e quelli come me li bruceranno sul rogo.

Povero nonno. Tutti gli avvenimenti da lui previsti si sono in effetti verificati ma lui non ha potuto essere presente ai cambiamenti. Fu trovato morto un mese dopo, carbonizzato, legato ad un palo  davanti all’erigendo Duomo del Castellare di Bibbiena.

Amen.

In Nomine Patris, Filii et Spiritus Sancti.

Caro Diario,

Scrivo queste mie righe al lume di candela: che la notte sia complice di questa disobbedienza alle Santissime Leggi, e che l’Altissimo voglia nella sua infinita bontà mondare la mia anima dalla sua impudenza.

Scrivo con la fida penna d’oca su uno degli ultimi fogli che sono riuscito a conservare dal Mese dei Roghi, i 30 giorni di purificazione voluti dalla Chiesa per spazzare via dalla faccia della terra tutti quei volumi, scritti, documenti ed oggetti ritenuti non consoni alla Santa Costituzione della neonata Repubblica Cattolica Apostolica Italiana. Certo, anni fa era molto più pratico l’uso del computer, ma anche essi sono stati banditi e ne è stato impedito l’uso in quanto veicoli di perdizione e di tentazione.

Oggi, primo dì del mese di Agosto (secondo il vecchio calendario) Anno Domini MMX, si è verificato un caso molto strano. Per la prima volta dalla Giornata del Secondo Avvento (la Santissima Elezione di Papa Benedetto XVI), nella piazza del nostro paese le consuete Purificazioni e le Ordalie si sono tenute in tono minore. Da quattro anni infatti anche nelle piazze del mercato dei nostri paesi si sono svolte con regolarità tutte quelle Sacre Funzioni volute da Sua Santità Benedetto XVI  per educare il popolo alla Fede. In primis, le Purificazioni: come ai tempi in cui la Congrega per la Disciplina della Fede (di cui Sua Santità Ratzinger è stato a capo fino alla sua elezione al Soglio di Pietro) si chiamava ancora Santa Inquisizione, in ogni piazza vengono settimanalmente ricondotti alla casa del Signore tutti quegli esseri umani che hanno osato violare le Leggi della Bibbia. Le esecuzioni di omosessuali, adultere, femmine che hanno abortito, atei e sospetti tali, scienziati, filosofi  e bestemmiatori vengono infatti eseguite in pubblico quale monito per rimanere sulla retta via. Ignoro la motivazione del tono minore con il quale si sono svolte le funzioni. Forse perché oramai di gente da mandare al rogo ce n’è rimasta ben poca (la cittadina di Poppi oramai conta poco più di duemila abitanti, Bibbiena tremiladuecento, e nella intera Diocesi del Casentino gli abitanti non superano le quattordicimila anime), o forse le esecuzioni più importanti vengono rimandate al prossimo autunno. La giornata comunque si è svolta normalmente. Dopo la messa delle cinque di mattina, sono andato al lavoro. Devo dire che adesso mi trovo molto bene. All’inizio l’idea di tornare a lavorare i campi mi spaventava un poco, ma da quando sono state chiuse le Università (io ero Docente di Biologia all’università di Bologna), è stato imposto un ritorno alla vita semplice e consona ai dettami delle Sacre Scritture ed io, in quanto scienziato sono stato costretto ad abiurare le mie idee ed i miei studi (pena il rogo) e mi è stato assegnato d’ufficio questo lavoro in fattoria. Alla fine della giornata, arrivano i camion del Convento, caricano il raccolto e mi lasciano giusto il necessario per il mio sostentamento. La vita è dura, ma sono stato fortunato. Altri miei colleghi non hanno avuto la mia stessa fortuna. Almeno quattro chirurghi dell’Ospedale di Bibbiena sono stati mandati al rogo in quanto in passato si sono resi colpevoli di Aborto e non hanno abiurato. Ed alcuni scienziati che si sono rifiutati di abiurare le teorie del Big Bang e di Darwin per abbracciare la Sacra Verità di Adamo ed Eva quali padri del mondo hanno subito stessa triste sorte. Adesso le Università sono state chiuse e sostituite da Scuole di Studi Biblici, gli Ospedali della Repubblica Cattolica Apostolica Italiana sono stati sostituiti da Spedali e Sanatori gestiti direttamente da Frati e Suore, ed i pazienti vengono curati secondo i dettami delle Sacre Scritture. Di sicuro non vi si svolgono più tutte quelle pratiche contro natura quali trasfusioni di sangue, trapianti di organi, ed iniezioni di sostanze create da quella scienza che voleva sostituirsi a Dio.