Questo mese ho poca voglia di scherzare. E’ stato commesso un delitto, e come in tutti i casi dove ci scappa il morto, il sentimento non può essere leggero. C’era una volta una realtà forte nel mio paese. Era qualcosa che andava oltre ad ogni pensiero o ideologia che una persona potesse avere. Come ogni comunità di persone, Bibbiena aveva una propria squadra di calcio, il simbolo dell’unità del paese. Alla domenica, verso le tre del pomeriggio non volava una mosca: centinaia di persone di ogni estrazione sociale, ricchi e poveri, dottori e pazienti, imprenditori ed operai erano li, metà nella tribuna coperta dello stadio del paese e l’altra metà nel prato, tutti con qualche cosa di rosso e blu per bandiera, e quando non ci s’aveva o non si poteva a causa dell’estrazione sociale o della moglie petulante, bastava il guancialino bicolore. Quanti gusci di lupini sono stati lasciati in quelle gradinate. Quante boccine triangolari della Vecchia Romagna dissolte in un attimo quando d’inverno si sedeva in quel cemento ghiacciato. Quante volte ci si bloccava il respiro nell’attesa dell’esito di una punizione,di un tiro che si abbassava “a palombella” verso la traversa del portiere avversario. Si berciava come matti, si sventolavano le bandiere, si tornava a casa senza voce. Era un sentimento comune l’amore per quella squadra. Nel bene e nel male Bibbiena e la Bibbienese erano una sola anima. Il campo dello stadio è ancora verde per il sudore ci hanno lasciato i ragazzi di Bibbiena che si battevano come leoni con quella maglietta addosso, per quella maglietta che avevano addosso i loro padri ed i loro nonni. Quella maglia rossoblu, indossata per la prima volta nel 1927.

Forte di tanto affetto, era stata spinta verso paradisi inimmaginabili nella nostra piccola e provinciale vallata. La Promozione, l’Eccellenza e incredibile a dirsi l’Interregionale. Ad un passo dai professionisti, l’ascesa si arrestò quasi per un eccesso di timore verso quel mondo che richiedeva moltissime (forse troppe) risorse. Ma la squadra si comportava comunque bene, partiva dal mezzo di una valle di provincia e sbaragliava blasonati squadroni di città capoluogo. La domenica, partivano colonne di auto per seguire la nostra squadra fuori provincia, in Emilia, nelle Marche.

Poi, come in ogni favola che si rispetti è arrivato l’orco cattivo. La nostra principessa, nel fiore della bellezza fu tradita. Come in una moderna versione della Mea, la nostra amata è stata rapita ad un passo dalle nozze. Ella fu catturata dall’ “Armata Brancaleone”, malnutrita, offesa, torturata, violentata nello spirito e lasciata agonizzare nei peggiori bassifondi. E così, il fiore di Bibbiena perse uno ad uno i propri petali. In pochi anni di sofferta e lenta agonia, con l’atroce consapevolezza di avvicinarsi alla morte, la nostra Bibbienese si è spenta dopo una violenta caduta dalla Prima alla Seconda Categoria. 

 Non credo che si debba provare rancore o odio verso chi ha perpetuato questo scempio. In fondo, era solo una Armata Brancaleone, un insieme di maldestri cavalieri sbrindellati senza ronzino né bandiera… La cosa atroce, però, che tutti noi Bibbienesi non gli perdoneremo mai è lo scempio che è stato fatto del cadavere della nostra squadra. Neanche una degna sepoltura le è stata riservata. Anche i Cavalieri nel buio Medioevo, solevano seppellire con tutti gli onori il proprio destriero nel momento della morte, in quanto parte integrante e veicolo dello splendore del Cavaliere stesso. Ma il cadavere della povera Bibbienese, è stato squartato e svenduto a tranci al miglior offerente, le sue maglie buttate nel sacco dei ciechi, la sua anima gettata nel sottoscala.

 Chissà che fine faranno quei gagliardetti delle squadre di calcio che dal 1927 hanno costruito la storia della squadra. Forse quelli più bellini come colore verranno portati a casa per farci giocare i nipoti. Gli altri, diventeranno forse cenci da spolverare. Che tristezza. Che pena. Che mal di cuore.  Alla fine dell’estate, quando rientreremo dalle ferie, ritroveremo i componenti dell’Armata Brancaleone al loro posto al bar, tranquilli, con la coscienza a posto. Perché loro, la loro crociata l’hanno combattuta con coraggio: infatti agli avversari, a forza di musate, gli hanno slogato una mano…

Spero che le persone perbene di Bibbiena non dimentichino mai la nostra squadra. Le foto dei trionfi, gli articoli dei giornali, i caroselli di auto con le bandiere, devono rimanere affisse nelle pareti dei bar per sempre. Per i nostri nipoti, perché sappiano che nel nostro paese è esistita una grande squadra e per i nipoti dell’armata Brancaleone, quale persistente rimorso.

 Addio, Unione Polisportiva Bibbienese.