Esiste, ai confini orientali della Toscana, una vallata seminascosta dall’appennino centrale. Essa prende il nome di Cialtronia, dal latino “Valle chiusa”[1]. Questa vallata, pur essendo difficilmente raggiungibile, è lambita nei suoi confini da imponenti testimonianze: la grandezza di Firenze granducale distava solo una giornata a cavallo, la magnificenza delle Signorie di Siena, la civiltà Etrusca di Arezzo, fino a sentire anche l’aria nobile ed allo stesso tempo contadina della Romagna. Invece di essere inebriata dall’aria di tanta grandezza, la popolazione che vi abita ha mantenuto un certo distacco dalla realtà e soprattutto dalle abitudini e dalle regole che appunto dovrebbero regolare il normale svolgersi della vita quotidiana. Come nella maggior parte delle comunità “chiuse”, le abitudini della popolazione autoctona raramente seguono un filo logico o razionale, si preferisce l’imitazione. Alla logica dell’uso dei beni viene contrapposta la necessità personale, e al bene comune viene preferito il “e a me quanto me ne viene in tasca”.

Gli abitanti di Cialtronia, sono talmente rincoglioniti dal loro star (relativamente) bene, che gli avvenimenti e le occasioni favorevoli semplicemente gli passano a fianco sfiorandoli, e l’unica attenzione che il Casentinese[2] riesce a dargli è lo sguardo della mucca che guarda passare il treno. Infatti nella vallata di Cialtronia pur avendo un Parco Nazionale,  cittadine, castelli, pievi, bellezze naturalistiche mozzafiato, non esiste un adeguato servizio di trasporto che riesca a portare i numerosi turisti alla scoperta della vallata. Tanto è che i turisti sono costretti ad affittare un’auto a Firenze o ad Arezzo.

Esiste il problema della lingua: ovviamente nessun abitante della vallata riesce a spiccicare una parola che non sia in puro Casentinese[3] stretto o Italiano toscanizzato:”va giù per er dirittone de Le Tombe, poi quando t’arrivi a la còppe, a lo stòppe der pontealarchiana, tu vorti verso Arezzo”, riesce al massimo ad indicare il Casentinese all’anziano turista Olandese, atterrito da tanta cultura. Immagino il panico negli alberghi all’arrivo dei turisti: per riuscire a capire che cosa sta dicendo il turista di fronte, sono richieste almeno tre telefonate: una alla sorella per avere il cellulare del nipote, una al nipote stesso perchè accorra in aiuto (in quanto egli è studente della seconda classe dell’Itis, e come tale le lingue le mastica come nulla fosse), e la terza al vicino di casa che nel ’78 era andato in viaggio di nozze a Parigi e quindi, per inerzia, doveva per forza sapere le lingue… Alla fine, stremato, l’albergatore sfodera il coraggio della disperazione e comincia a parlare: “Buonasers, volevates unas cameras per stanottes?”

Anche le indicazioni stradali in qualche caso sono decisamente ridicole. Prendiamo l’esempio di Bibbiena. Nel giro di 200 metri troviamo: in Via Dante, a metà fra Bibbiena alta e Bibbiena Stazione, nel curvone troviamo l’indicazione sullo stato di apertura del Passo della Calla!!!  Proseguendo verso il centro storico, all’incrocio delle scuole elementari c’è un bel cartello azzurro che indica: “Cesena 92″. Mica male… Mi sarei aspettato un “Firenze 50″, un “Arezzo 32″, ma chissà perché proprio Cesena… Propongo di attaccare anche un bel “Velletri 215″, o anche un “Varsavia 1603″, non si sa mai, potrebbero fare comodo al viandante. Ma non è finita: salendo poche decine di metri troviamo un cartello che dovrebbe indicare i parcheggi presenti nel circondario. In realtà tale cartello sembra quasi il risultato di una notte di incubi di Picasso, dopo una indigestione di spaghetti a base di polpi e calamari: infatti tentacoli bianchi si inseguono e si aggrovigliano ovunque su un bel fondo azzurro, senza dare la minima idea di dove caspiterina poter parcheggiare la macchina! Rimanendo in tema, il Casentinese nutre una certa avversità verso i cartelli stradali, specialmente quelli di divieto di sosta. Sarà perchè sono troppo vistosi, o forse perché il Casentinese vuole la comodità a tutti i costi, fatto sta che da queste parti le autovetture sono abbandonate ai lati della strada non dove è consentito, ma dove fa comodo. Meglio se sulle strisce, o nei parcheggi per gli invalidi: per avere una idea della intelligenza del Casentinese automobilista, basta passare mezz’ora nel parcheggio del Centro Commerciale di Bibbiena. I primi parcheggi che vengono occupati sono quelli riservati agli invalidi, ovviamente da gente che invalida non lo è neppure se si cerca nelle generazioni precedenti. A chi me ne farà richiesta, sono in grado di fornire le generalità del genio che ha affermato: “Ora vado dal Sindaco e li faccio spostare da un’altra parte quei parcheggi per gli invalidi: proprio vicino all’entrata li dovevano mettere?”. Premio Nobel per la Demenza. Inoltre sempre nella stessa zona, il Casentinese ama lasciare la macchina sotto il cartello di divieto di sosta lungo la strada, attraversare sotto la pioggia e a piedi duecento metri di parcheggio creato apposta per contenere 1000 vetture come la sua,  infilarsi nel supermercato, uscirne con una decina di borse da dieci chili l’una, farsi altri duecento metri a piedi smadonnando e sudando come una lontra, e finalmente tornare alla vettura… Quando poteva tranquillamente parcheggiare nel parcheggio (da qui il nome, appunto), a 5 metri dall’entrata del supermercato. Ma si sa, il Casentinese ama il brivido, e la sfida: per sentire l’adrenalina c’è chi si butta col paracadute e chi si limita alla roulette russa col divieto di sosta… Ovviamente nella Vallata non sono amate le forze dell’ordine: infatti quando il Casentinese piazza la vettura nel parcheggio degli invalidi, e gli viene portata via dal carro attrezzi, il Casentinese inveisce e sbraita contro l’agente di turno, difendendosi con le solite frasi: “sono arrivato ora”, “vado via subito”, “ho accompagnato il mi zio cieco”, fino al classico dei classici “ma lei non sa chi sono io”. E quando si parcheggia col gippone nel borghiciattolo delle nostre cittadine medievali, sigillando il traffico per intere ore, creando ingorghi chilometrici che si vedono fin dalla consuma, al vigile che gli sta facendo la multa riesce a dire: “oh, vado via subito, eh!”. Anche ai Carabinieri, quando i Casentinesi vengono sorpresi senza cinture, di notte con i fari spenti, senza il triangolo, con la targa penzoloni, in sette in auto, sotto i fumi dell’alcool, riescono a dire: “andate a prendere i ladri invece di dare noia (!) alle persone per bene (???)”.

Ma il vero tarlo del Casentinese è la boria. L’apparire, il mostrarsi, il competere fa parte del DNA del Casentinese. E così abbiamo i giovani che escono da scuola e lavorano per un anno come vice-aiuto-manovale giusto per comprarsi il Rolex da duemila euro, perché con quello al polso, il sabato sera al Cirulà, le spose gli cascano ai piedi. Si mangia pane e cipolla per due anni, ma alla fine si compra il Mercedes! (non importa se dopo sei mesi si deve rivendere perchè non ci si fa a mantenerlo). Abbiamo operai da seicento euro al mese che devono mantenere delle matrone ingioiellate che necessitano della palestra, della cura omeopatica, del parrucchiere, della borsetta di Prada, del corso di Yoga (o yogurt, tanto per loro è uguale)…


[1] Più o meno…

[2] Abitante della vallata di Cialtronia

[3] La lingua ufficiale della vallata di Cialtronia