Egregio Signor Cavaliere,

Non la chiamerò per nome per non dare adito a strumentalizzazioni che potrebbero colpire la Sua Persona. Chi le scrive è un giovane toscano, che ad un certo momento della propria vita si trova a dover fare delle scelte. Finora ho sempre vissuto in maniera più che decorosa. Ho un lavoro con una retribuzione dignitosa e buone prospettive, una famiglia unita, una casa che mi son comprato con notevoli sacrifici ma che oggi finalmente posso godermi. A tutto questo, si affiancano i problemi della vita quotidiana. Ho il

Santo subito!

mutuo da pagare, l’assicurazione della macchina costa, ci sono le spese per l’acqua, la luce, il gas. Quello che mi servirebbe sarebbe la sicurezza economica. Visto che per i canali “ufficiali” ci si mette troppo tempo, ho pensato di rivolgermi a Lei per chiederle se può venirmi incontro.

 Cavaliere, le chiedo ufficialmente di essere assunto alle sue dipendenze in qualità di Prestanome per una delle sue aziende.

 La cosa credo che non Le rechi poi tanto disturbo, e oramai Lei sa bene come funzionano certe cose. Non le darò certo i problemi che le hanno causato in passato gli altri che Lei ha scelto come ignari intestatari delle numerose ditte che ha fatto sorgere dal nulla. Non solo: sono un giovane con delle ambizioni, cultura superiore, dicono di bella presenza, pertanto molto più credibile come presidente di una finanziaria, di un pensionato moribondo o di una casalinga con la quinta elementare (poteva starci più attento, quella volta, però…). Non dovrebbe neanche sprecare più di tanto tempo ad istruirmi per il mio compito: ho studiato bene come dovrei comportarmi. Nella mia società entrerebbe una cifra (se non sbaglio intorno ai due miliardi e settecento, di media), e dopo qualche mese, ne uscirebbero (magia!) ventisette e rotti di miliardi. Il tutto in contanti per non lasciare traccia nei libri contabili. Successivamente, la ditta verrebbe liquidata ed io potrei continuare a fare la mia vita di sempre. Naturalmente mi accontenterei di una piccolissima parte del denaro circolante nella società, tanto per avere quella sicurezza economica che le descrivevo all’inizio. Come alternativa, Cavaliere, potrei proporLe la creazione di una TV privata nella mia vallata, il Casentino. Potrei figurare io come fondatore, poi potrei rivendergliela a un prezzo agevolatissimo. In fondo per Lei sarabbe ben poca cosa: lo ha già fatto per centinaia di emittenti in tutta Italia, almeno così mi dicono. Una antenna in più, che vuole che sia?

 Nel mio piccolo, mi sto già impegnando quanto posso per essere pronto a questo traguardo. Ho già allentato i rapporti con mio padre (lui ha votato sempre per la sinistra), e sto cominciando a leggere i quotidiani del “nostro” gruppo.

 La prego di non sottovalutare questo appello, Cavaliere. Tenga presente anche che ho la fedina penale pulita, e questo non potrebbe che portare una ventata di aria nuova nel gruppo che lei dirige. Le allego la fotocopia della mia carta di identità ed il mio codice fiscale, per accorciare i tempi per il disbrigo delle pratiche: se vorrà, potrà avvertirmi con comodo dell’avvenuta nomina.

 Rimanendo in attesa di un Suo riscontro, voglia gradire i miei più sentiti omaggi.

In principio era il verbo. Le antenne da 600.000 watt per trasmetterlo, vennero issate sulla collina molti secoli dopo.

Da alcuni decenni, su una collina non distante da Roma, uno Stato estero ha piazzato dei micidiali ordigni i quali, subdolamente, hanno un’effetto devastante sulla salute pubblica. Le antenne di Radio Vaticana, infatti hanno

una duplice funzione: veicolare la parola del Signore in ogni angolo della terra, e a quanto pare anche fornire quante più anime possibile al paradiso. Una volta per combattere il demonio bastava un’aspersorio ed una bibbia in latino. Oggi, nell’era tecnologica servono i Megawatt.

Gli abitanti dei Comuni irradiati dalle onde elettromagnetiche, da anni oramai lamentano fatti quantomeno sconcertanti. Le voci trasmesse dalla Radio Vaticana, a causa della loro spropositata potenza, entrano in tutto ciò che è elettrico: rosarioni multivocali salmodiati da pie suorine sono stati sentiti fuoriuscire da tostapane e rasoi elettrici, avemmarie e paternostri sono stati uditi nei citofoni da esterrefatti passanti. Le televisioni trasmettono il messaggio di Frate Bernardo invece di Rai Uno (non so se questo è un fatto negativo, in effetti). Le emissioni sono così forti che fanno vibrare le lamiere e fanno cantar messa anche ai tubi della stufa. Molte lavatrici hanno portato a termine blasfeme centrifughe al ritmo di “Il signore è il mio pastore”, e indignate massaie sono rabbrividite nel sentire il vangelo provenire dallo scarico del lavandino.

Effetti peggiori li hanno sulla salute delle persone, e qui c’è poco da scherzare. Le frequenze benedette emesse dalle sacre antenne, provocano dei surriscaldamenti delle cellule degli organismi viventi, e a lungo andare possono provocare nelle persone disturbi comuni come emicranie, fino ad arrivare ad affaticamenti e scompensi cardiaci, fino a leucemie e tumori. Da anni, gli abitanti della zona denunciano sistematicamente i troppo frequenti casi di leucemia, di tumori e di altre patologie, e le autorità non hanno fino ad oggi potuto fare altro che constatare i fatti. Il muro da scalare, evidentemente era troppo alto, e forse non c’era la volontà di scomodare troppo il Vaticano. La cronaca recente, e questa è la cosa a mio giudizio più ripugnante, riporta le affermazioni sconcertanti dei responsabili della Radio Vaticana, i quali, con voce agnellata riescono a dire solo che “non ci sono prove” che le malattie siano causate dalle emissioni delle loro antenne e che è tutta una montatura. Ora, io mi rendo conto che solo un paio di anni fa il Vaticano si è accorto che è la terra che gira intorno al sole e non viceversa, ma sia in Italia che in Francia come in Vaticano, vigono le stesse leggi della fisica, e le onde elettromagnetiche inquinano ovunque sulla terra, a prescindere dall’uso. In breve, non esistono radiazioni religiose, e quindi buone che fanno crescere i fiorellini nei campi e radiazioni laiche che provocano tumori. Le onde

elettromagnetiche se sparate ad alta potenza uccidono anche se tale fenomeno non è scritto nella bibbia. Mi stupisce anche la poca “cristianità” (o menefreghismo?) dei responsabili di questo scempio. Da delle persone di fede, mi sarei aspettato un caldo interessamento verso le persone colpite dalle loro radiazioni, tipo una verifica dei campi magnetici o perlomeno un fiore sulla tomba delle persone morte a causa delle radiazioni. Invece niente. Io mi figuro un futuro incontro nell’aldilà tra le anime dei bambini morti di leucemia ed i responsabili di Radio Vaticana: i primi entrati in Paradiso dalla porta principale, gli altri dalla porta dei fornitori…

Adesso le gerarchie papaline si sono mobilitate in massa contro il Ministro Bordon che si è permesso di ammonire la Radio Vaticana. La richiesta della Repubblica Italiana non è particolarmente persecutoria: o abbassate le potenze di emissione oppure vi tagliamo la corrente.

Io mi auguro che oltre a tagliargli la corrente, vengano mandate le ruspe in cima a quella collina. Come risarcimento danni, lo Stato Italiano dovrebbe abbattere le antenne e in quel posto far nascere una clinica per la cura dei tumori. Di sicuro non riporterebbe in vita i morti e non ridarebbe la salute alle persone oramai colpite dalle peggiori malattie, ma sarebbe un investimento contro la diffusione delle onde di morte.

Amen.

Faceva freddo, quella mattina di Gennaio. Erano le quattro di mattina, ed il termometro, sul cruscotto in radica della Jaguar segnava meno 3 gradi. Uffa, pensò l’occupante, tra poco dovrò scendere e beccarmi una bella dose di freddo… Parcheggiò il lussuoso mezzo in un parcheggio per VIP, 20.000 l’ora, guardato a vista dal corpo di viglianza privato.

Scherzi di Passaporto...

Abbandonato il sedile in pelle riscaldato, prese dalla poltrona posteriore la valigetta ventiquattrore e si incamminò verso il vicino palazzo della Questura. “Andiamo a sbrigare questa formalità”, pensò fra se e se. “Certo, a quest’ora di mattina però… forse è per non dare nell’occhio”.

Arrivato davanti all’entrata della questura, passò a fianco di una fila di alcune centinaia di persone che già aspettavano al gelo davanti ad uno dei portoni di legno. Guardando quei visi che lo fissavano, si sentì un poco in colpa, lui con quei vestiti firmati addosso, il cappotto di cachemire e le scarpe che da sole costavano come un’intero anno di lavoro (a nero) di uno solo di quei disgraziati in fila. Ma in fondo che cosa c’era da sentirsi in colpa? Quei soldi lui se li guadagnava sudando dalla mattina alla sera, lavorando anche la domenica, anzi specialmente la domenica, quando quegli altri se ne stanno tranquilli a casa o a bighellonare per i parchi pubblici. Arrivato davanti alla portineria, con la ventiquattrore in mano legata con la catenella, si sentì al sicuro. Premette il bottone dell’interfono. Una voce, sonnolenta di là dal vetro rispose: “Diga?”[1]. “Buongiorno, esimio tutore dell’ordine pubblico,” esordì “Sono stato convocato per depositare alcuni documenti inerenti la pratica per la regolarizzazione del mio soggiorno in codesto Paese. Gradirei sapere ove posso recarmi per chiudere la pratica”. “Goome?”[2]. “Dicevo, che dovrei presentare dei documenti inerenti la mia permanenza in Italia… Il Passaporto, capisce?” “Aaaah, e che minghia, subbito lo potevi ddire, no? Signorino, per il passapotto la fila devi fare, come tutti gli attri!”[3]. “La fila?” si voltò e vide le decine e decine di visi asiatici, africani ed est-europei che lo fissavano… “Vede, lei forse non sa chi sono io… Io ho bisogno di consegnare questi fogli immediatamente! Io sono..” “Uè, picciotto, che facciamo alziamo la voce, ah? Vuoi che ti perquisisco subbito? Vuoi che apra quella valiggetta per vedere cosa salta fuori? Ah?” “Guardi, c’è un malinteso…” “Te lo do io il malinteso, faccia da cinese! Mettiti in fila con quelli della tua specie, vai! Ha pottato pure il vestito della comunione! Vai in fila, vai che ti prendono il posto!”

Pieno di collera ma fermamente deciso a fargliela pagare, tornò indietro e si mise in coda con tutti gli altri. “Vedi che figura che gli faccio fare coi suoi superiori, quando entro la dentro… Lui non sa chi sono io…”. Guardò il suo Rolex Daytona Acciaio e Oro e scoprì che erano appena le quattro e quaranta di mattina.

Alle due e sedici del pomeriggio, finalmente entrò negli uffici. Esausto per l’attesa, entrò nella stanzetta, si tolse il cappotto e lo mise nell’attaccapanni. Poi si mise a sedere davanti al poliziotto di turno. “Senta, agente, vorrei far presente una situazione alquanto spiacevole che mi è occorsa qualche ora fa…” “Nomo e Gognomo.”[4] “Dicevo, avrei da fare una rimostranza…” “Uè, faccia da cinese, ho ghiesto nomo e gognomo!” “E va bene. Mi chiamo Alvaro Recoba sicuramente avrà sentito parlare di me” “Selenzio! Qui le ddomande le faccio io, chiaro? Allora, Reggobba Alvaro.” disse scrivendo con calligrafia da prima elementare nel modulo statale pluritimbrato. “Che lavoro fai qua in Italia? Lavi i vetri anghe te ai semafori ah?” “Veramente sarei un calciatore” “Ah, minghia, gioca a pallone il signorino! Ma un lavoro serio non ce l’hai? Che fai il lavapiatti, il cuoco? Chi ti ha fatto venire qui in Italia?” “Il Signor Moratti in persona, sono un calciatore dell’Inter!!!! Conosce l’Internazionale?” “L’Internazionale? Minghia pure comunista sei ah? Siamo messi male, faccia da cinese, te lo digo io! Paese di provenienza? Cina, Vietnam, da dove sbughi fuori, Mao Tze Tung, ah?” “Veramente sono Uruguagio” “E che è una malattia?” “No vuol dire che vengo dall’ Uruguay, Sud America”. “Ah, bene, vieni dal sudamerica con una valiggetta in mano eh? Che ci porti la dentro la ddroga eh?” “Ma come si permette, sono una persona seria, io! Mi faccia parlare con un suo superiore!” “Uè che facciamo ci scaldiamo? Abbiamo la coda di paglia ah? Brigadiere Esposito, porti di là il signorino, oops, chiedo peddono, il Signor Calciatore, e gli faccia una bbella perquisizione, che per me qualcosa ci nascose!” Tralasciamo la cronaca della mezz’ora successiva. La perquisizione ebbe luogo e fu molto, molto approfondita… Per ulteriori accertamenti, fu deciso di fermarlo e lasciarlo a disposizione della magistratura. Le accuse erano: importazione, detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti, ricettazione di automobile di lusso ed abiti rubati, contrabbando, sfruttamento della prostituzione (infatti gli fu trovata una agenda con decine di nomi di donne) e, dulcis in fundo, era pure clandestino. Dopo due giorni di camera di isolamento fu tradotto al carcere milanese di San Vittore, dove tuttora è detenuto in attesa di giudizio. L’udienza preliminare è stata fissata per il Giugno 2002. La domenica successiva, la Gazzetta dello Sport titolava: “Inter in campo senza Recoba, che risente ancora di una fastidiosa pubalgia ed ha preferito non unirsi alla squadra. Al suo posto, in campo Vieri.”

Poi all’improvviso mi sono svegliato… Era stato solo un sogno, ma era stato incredibilmente reale. Mi sono vestito, sono uscito per andare al lavoro e passando davanti alla questura ho dato un’occhiata alla ennesima fila di decine di persone in attesa del loro turno. Poi, mi sono fermato a comprare il giornale in edicola. Che scemo, ho pensato, domenica prossima L’Inter gioca con la Lazio! Per poco non me ne dimenticavo! Meno male che hanno chiuso alla svelta la questione dei passaporti: ho pagato un milione e mezzo di abbonamento al satellite per vedere le partite e chi mi ci mettono in campo, i bambini?

Eh si, a volte basta una buona notizia per iniziare bene la giornata.


[1]     Traduzione: “Dica?”.

[2]     Trad. “Come?”. E’ intuibile che l’interlocutore non è molto avvezzo all’uso della Lingua Italiana.

[3]     Da leggersi con una forte cadenza Siciliana, possibilmente dell’entroterra di Enna.

[4]     Trad. Nome e Cognome, per i non poliglotti. Trattasi di concittadino del precedente.

Leggendo i giornali, non possiamo fare a meno di notare quante, tra le notizie provenienti dal mondo  riportino dei seri problemi per la salute delle persone. Da Seveso in poi, passando per Chernobyl, il buco nell’ozono, i cibi transgenici, fino alle recenti bombe all’uranio e alla mucca pazza, l’opinione pubblica è sempre stata informata “quanto basta” dei disastri ecologici ed ambientali.

Pazza io?????

Quando succede qualcosa di sospetto, subito solerti annunciatori televisivi fanno notare che tutto va bene, che la situazione è sotto controllo, che non c’è nulla da temere. Però sarebbe bene che i vecchi ed i bambini non uscissero di casa, che l’acqua fosse fatta bollire, e che non è il caso di girellare troppo per le strade quando c’è il sole, che se la pelle si copre di chiazze rosse di sicuro sono state le zanzare… Basta pensare alla Mucca Pazza: i muscoli sono buoni, è il cervello che è da buttare (curiosa metafora della società moderna…). Però per sicurezza, se un’animale è malato si ammazzano tutti gli animali dell’azienda agricola, si brucia la casa del contadino e gli si bucano le gomme del trattore… Questo si che è rassicurante!

Tutto questo bombardamento di informazioni contraddittorie, lascia quantomeno disorientati i cittadini, i quali cominciano ben presto a fare confusione e a mescolare i timori, le cause e gli effetti dei troiai che si mangia e che si respira. Ascoltando i vari telegiornali, io stesso sono arrivato ad uno stato di confusione tale che ho cominciato a teorizzare.

Così, nella mia mente offuscata da troppa malainformazione, mi sono trovato ad immaginarmi questi poveri bovini, alimentati da allevatori senza troppi scrupoli con barre di uranio prelevate dalla centrale di Chernobyl e col foraggio transgenico. In effetti mi sono rattristato un po’ nel pensare ad un povero vitellino da latte intento a sgranocchiare un cilindretto di metallo…

Queste mucche, esposte al sole, si beccavano pure nel groppone tutto l’ozono che filtra dal famigerato buco, minando ancor di più le già critiche condizioni fisiche degli animali. Nasce così nella mia immaginazione la figura della Mucca Impoverita, capace di produrre latte dal caratteristico colore giallo-fosforescente, e utilizzabili solo per fare giubbotti in pelle, cinture e ad essere ridotte in bocconcini tipo kitekat per altri ignari bovini.

Non contento dei miei pensieri folli, mi sono spinto oltre. Ho pensato: che farsene di un’animale talmente deperito da essere inutilizzabile? Ebbene, a risolvere il problema ci ha pensato ancora una volta il grande fratello americano: i bovini venivano utilizzati nella guerra in Jugoslavia come proiettili anticarro e come bombe sganciate dagli aerei. Se vi pare una cosa crudele per l’animale, immaginatevi l’effetto devastante di un bovino che cade su una palazzina… Ancora oggi, si stanno studiando gli effetti di tali bombardamenti in Serbia, con i soldati armati di contatori Geiger per misurare le radiazioni e di pennato per farsi strada tra i costolicci degli animali precipitati.

Forse mi sono lasciato prendere la mano ed ho fantasticato un pochino, ma in effetti se ci si pensa bene la situazione è abbastanza inquietante. Più o meno consciamente, stiamo diventando diffidenti verso tutto quello che mangiamo e che beviamo. E non può essere altrimenti. Non so voi, ma io il cocomero a dicembre non lo compro, cosiccome non mi fido del latte “arricchito” da chissà quali vitamine anti-questo e pro-quello. Vietano il formaggio stagionato nelle grotte (perché dicono  che non sia igienico) e ci fanno mangiare delle fettine di mortadella preconfezionata dal colore verdognolo con scadenza Giugno 2008.

Fra un po’ dovremmo mangiare il pane senza grano, la bistecca senz’osso, il vino analcolico, il rocchio senza grasso e l’olio poco unto. Io dietro casa ci ho il mio orticello, ma se mi fanno diventare radioattiva anche la bietola allora è la volta buona che faccio la rivoluzione.

Speriamo che alla fine tutti questi allarmi facciano capire a chi di dovere che la corda è già abbastanza tirata, e che se si spezza saranno dolori per tutti.

 Gia ora ci vuole un gran culo per morire di vecchiaia…

Questo articolo è stato da me scritto per il numero di Dicembre 2000 del mensile Casentino 2000

Il linguaggio casentinese si distingueva (fino a un paio di generazioni fa) per la schiettezza ed immediatezza delle sentenze che riusciva ad esprimere.

I nostri nonni, quando si trovavano di fronte a situazioni dall’esito palesemente avverso, erano soliti esprimere il loro disappunto con la frase testè citata: “La veggo buia…” (traduzione per i non autoctoni ed i Fiorentini: La vedo buia).

La veggo buia“, si diceva quando minacciosi nuvoloni neri si avvicinavano portando il temporale ed il rifugio più vicino era a chilometri di distanza. E la si vedeva dimorto buia anche quando si rompeva la ruota di legno in discesa e il carro sfiorava il precipizio. Vedendo che cosa ci spetta in questo 2001 che sta per iniziare, non posso che esprimere il mio personalissimo parere: La veggo buia.

Mala tempora currunt...

Se il 2000 in fondo non è stato un’anno felicissimo per molti (eppure non è passata neanche una cometa), il 2001 che è alle porte si presenta subito bene. Vediamo assieme che cosa ci aspetta. L’anno si aprirà con l’insediamento del presidente degli Stati Uniti d’America. Alla Casa Bianca siederà George Bush Junior. Immaginate un ragazzotto borioso perché figlio di papà presidente, spocchioso e nullafacente, la cui occupazione principale è stata quella di negare la grazia ai condannati a morte che gliene facevano richiesta perché altrimenti perdeva il treno per le presidenziali…. Ebbene, signori, tale persona guiderà il paese più potente (economicamente e militarmente) del globo terracqueo. Chissà se ripercorrerà la carriera del padre: in medio oriente, intanto si stanno già grattando sotto la cintola.

Ci auguriamo in cuor nostro che il famoso pulsante rosso sia ben protetto con un grosso vetro davanti, e che non possa essere premuto per sbaglio o per ripicca… Gli USA, come sempre, saranno in prima fila con l’ONU a controllare le regolarità delle elezioni dei paesi in via di democratizzazione. Dal 2001 le delegazioni statunitensi, avranno in dotazione le più sofisticate tecnologie: lavagna, gessetti e pallottolieri eviteranno brogli nei conteggi.

Nel nostro caro vecchio continente le cose non andranno granchè meglio. Si infittiranno le scorribande del fallocefalo Haider in Italia, ora che è stato redento ufficialmente dal Vaticano. In fondo le sue idee sugli ebrei non erano così distanti da quelle di alcuni personaggi storici da poco elevati gli onori degli altari. Con quell’alberello piantato in mezzo alla Piazza di San Pietro, l’ “Intimo di Karinzia” intanto si è conquistato un occhio di riguardo, poi si vedrà… Noi intanto nel nostro piccolo confidiamo nella salute di Giulio Andreotti e gli auguriamo lunga vita: sarebbe molto imbarazzante vedere nel calendario del 2001 il giorno di San Giulio…

In primavera, si svolgeranno verosimilmente le elezioni politiche in Italia. Oramai tutti sanno come andranno a finire.

Parola d'ordine: Tirare la cinghia..

Basta guardare le nostre città: prima erano coperte di pubblicità insulse ma almeno si vedeva qualche coscia… ora un nano ricchissimo emana dagli stessi cartelli dei messaggi subliminali di inusitata intelligenza ed arguzia: “Meno tasse”, “Più lavoro”, “W la natura”… Quando arriveremo a leggere “Basta con la calvizie”, “Abolire la pioggia”, “No al puzzo di piedi” capiremo finalmente che il nano avrà vinto per manifesta inferiorità intellettiva del popolo. Solo nel nostro piccolo Casentino prevedo che il 2001 non porti più di tanti sconvolgimenti: la SS71 rimarrà la stessa vergogna di asfalto, anche se ultimamente abbellita da qualche semaforo sparso qua e là verso S. Mama, l’opposizione del mio comune continuerà a votare contro “a prescindere”, l’elettrodotto continuerà ad essere al centro di polemiche… Roba di normale amministrazione, insomma.

Mi auguro di essere smentito dai fatti, ma intanto signore e signori, la veggo dimorto buia.

Questo articolo è stato da me scritto per il numero di Dicembre 2000 del mensile Casentino 2000

E così, scherza e gioca siamo arrivati anche a questo primo Natale del secolo nuovo, o a seconda delle scuole di pensiero, all’ultimo del vecchio.

Ricordo perfettamente quando da piccolo immaginavo il Natale del duemila, con le macchine volanti, i raggi laser, tutti che si andava in giro vestiti d’alluminio come i Rockets… Tutte palle.

Bello il Natale da bambini. Tutto ci sembra grande, bello, colorato. L’uvetta nel panettone, il babbo che piglia la scossa quando mette gli orsini con l’intermittenza nell’albero, il crogiolare dell’arrosto opportunamente sovradimensionato che si cuoce in forno per la libagione di tutta la famiglia, l’attesa della mattina per scartare i regali, la finta sorpresa del regalo (perchè da bimbi si era un pò infidi e si faceva una testa così ai genitori per pilotare abilmente le scelte di babbo natale o chi ne fa le veci verso l’uno o l’altro dono…). Che bello che era… Tutte palle.

Natale: stillicidio di quattrini...

Ora che siamo cresciutelli, più che alle macchinine e al monòpoli si pensa alla benzina a duemiladue, al mutuo in banca (colpa del trènde del dàugiòns, ci dicono gli esperti nella niùeconomi…ma perché non vanno a lavorare…) e ai fogli da centomila che guardacaso finiscono sempre prima del foglio del calendario. Ci si accorge che è passato un’anno perchè cominciano ad arrivare gli estratti conto semestrali dalla banca (come dire: la conta dei morti).

E così, tribolando risiamo al Natale, si diceva. Non so voi, ma quest’anno non mi va di festeggiare un bel niente. Come quelli che non festeggiano il compleanno perchè un’anno in più è sinonimo di vecchiaia incipiente, io, che sono fondamentalmente cattivo nell’animo, non festeggerò il Natale per scarso attaccamento al genere umano. Crescendo, si diceva, il Natale assume ben altri significati, meno spirituali e assai più materiali. Il Natale, è diventato una grande fiera, il mercato per eccellenza dove ognuno è libero di sfogare le proprie voglie represse nel più nefasto dei modi. Dalla spropositata corsa all’acquisto delle più insulse e deprimenti mercanzie (debitamente sovrapprezzata dal cortese negoziante che accoglie il cliente con la classica faccina sorridente della serie “vienivieni che ti pelo io…”) allo sfoggio pubblico della più grassa e becera opulenza. Eh si, perchè questo genere umano coglie al volo le occasioni mondane: in assenza delle “prime” a teatro, o di ricevimenti di alto lignaggio, ripiega astutamente sulle più comuni occasioni di socializzazione quali funerali e Messe.

Ecco cosa farò quest’anno. Mi apposterò davanti alla chiesa del mio paese mezz’ora prima della messa di Natale, e osserverò la fauna che entrerà nel luogo sacro. Voglio vedere in faccia le signore che hanno tirato fuori per l’occasione tutta la bigiotteria che avevano nel portagioie per agghindarsi a mò di lampadario, con l’acconciatura stile niuèig, che ha richiesto otto ore di sapiente intervento da parte del parrucchiere, oops, pardon, del coiffeur (a dire il vero un petardo scoppiato in testa avrebbe ottenuto risultati migliori), con le scarpe pitonate fosforescenti a punta

Ridicoli alla sfilata di natale...

firmatissime col tacco ferrato dal maniscalco, l’abito brilluccicante che costa come due stipendi di un’operaio (ma che addosso ad un tornitore starebbe malissimo…), la borsetta di pelle di animale, uno qualsiasi purchè in via di estinzione, il cappottone rigorosamente leopardato di chiaro taglio sartoriale francese (???) pesante come un panzer, che non verrà tolto neppure durante la cerimonia, perchè sai quattromilioni son quattromilioni… E quei bei signori pasciuti e rosei, che per l’occasione sfoggiano il loro mezzo chilo di Rolex al polso, con l’abito nero intonato alla Mercedes e le scarpe giallo canarino squadrate come un’incudine, perchè sai ora vanno di moda.

Voglio vederli nella loro sfilata di moda, mentre si avviano nel corridoio centrale della chiesa per andare a fare la comunione. Per primi, perchè dopo vengono i vecchi e loro non se ne giovano.

Voglio osservare il loro comportamento mentre il sacerdote parla di umiltà, di solidarietà, di pentimento…. Loro che danno ragione al Cardinal Biffi perchè i marocchini sono sudici e ci portano via il lavoro… Davanti a tale sfoggio di violenta volgarità gratuita, mi verrà da pensare all’inferno: chi è più degno di finire arrosto, un musulmano che si alza la mattina alle cinque per pregare o un cristiano che calpesta il suolo della chiesa solo per mondanità e vanto?

Toglietevi lo stivalone pitonato e cominciate a mettere i sandali (rigorosamente di Prada), che laggiù fa caldo…

Che bello il Natale, quest’anno…

Questo articolo è stato da me scritto per il numero di Ottobre 2000 del mensile Casentino 2000

Chi giunge da Arezzo nel Casentino, una volta superata la strozzatura naturale formata dalle colline del Groppino e del colle di Terrossola, rimane felicemente affascinato dalla vista del colle sul quale si erge la medievale città di Bibbiena. Lasciatosi alle spalle l’abitato del Corsalone, e superato il torrente Vessa a pochi metri dal punto in cui, nei tempi degli avi sorgeva l’antico ed austero ponte di Arcena, oggi ahimè diruto e disperso e sostituito da un funzionale quanto anonimo ponte in muratura ed asfalto, il viaggiatore si trova a costeggiare le poche sparse case che sembrano fungere da preludio alla suddetta cittadina.

Sulla sinistra, il depuratore/canile di Bibbiena

Abbiamo Pollino, poi La Nave. Tra queste due località, sulla riva sinistra dell’Arno, un tempo fertile campo di abbondanti messi, traboccante di tutti i migliori frutti che la terra rigogliosa di quei luoghi riusciva ogni anno ad offrire al contadino, qualcuno, non certo la natura ha pensato bene di far sorgere un’utilissimo quanto molesto “centro di raccolta e convivio di fedeli amici dell’uomo”. In parole povere un vero e proprio canile, anche se per la legge un canile è ben altra cosa. Un canile per legge deve necessariamente avere delle strutture adatte a facilitare il soggiorno degli animali ospitati: una infermeria, delle gabbie di adeguata metratura e copertura, spazi per la libertà di correre, locali per la quarantena degli animali malati, assistenza sanitaria 24 ore al giorno e così via.

Il canile in questione, perché di questo si tratta anche se ufficiosamente, si trova nella posizione migliore per poter far arrivare l’abbaiare dei cani al maggior bacino di utenza possibile. E’ stato ubicato infatti con rara maestria e calcolo, a poche decine di metri in linea d’aria dalle abitazioni più vicine, con gioia e tripudio degli abitanti i quali si trovano nella condizione dell’essere ben lungi dal sentirsi soli anche di notte. La struttura ricorda quella di un teatro greco: le voci degli attori (nel nostro caso dei cani) si odono perfettamente da tutti gli spalti del teatro (nel nostro caso si sentono dalla Nave al Piazzale della Resistenza, dalle Monache a Pollino, – che detto per inciso sono anche un notevole “zoccolo rosso” ovvero un notevole serbatoio di voti per la maggioranza comunale di Bibbiena -, giungendo fino alle prime propaggini del Corsalone, il quale, essendo al di fuori del Comune di Bibbiena, potrebbe anche protestare e creare un’incidente diplomatico…).

Bau!

Nei primi tempi, la gente aveva preso anche con simpatia l’arrivo del primo cane all’interno del depuratore (“pàrini, gli fanno compagnia…”). Anche del secondo. Pure del terzo. A partire dal decimo cominciarono a nascere delle perplessità. C’è stato chi osservava giornalmente come stavano i cani, se la famiglia era cresciuta, se avevano fatto i tetti alle gabbie in legno. Si cominciava a dare ai cani i primi nomiciattoli per poterli distinguere nelle chiacchiere che si facevano tra le comari a veglia: Nuvola (il cane dal pelo bianco), il canelupo Rèsse (toscanizzazione di Rex…), Braccobardo, Gècche, Bobi, Fido che non manca mai, Bòbbe, fino ad arrivare ai più estremi, come Benito (quello dal pelo rasato), Pavarotti (quello con il latrato profondo e cavernoso), GiònOlms (quello perennemente infoiato). Nelle sere invernali si pensava e si discuteva su “come staranno male que’ pòri canini ar freddo…”, “ma come farà quer pòro Gècche che l’è ir più vecchio…” e via discorrendo. Approssimandosi la stagione primaverile, le finestre delle abitazioni hanno cominciato a rimanere aperte per più ore nel corso della giornata. E assieme al venticello gentile della primavera e all’odore dei fiori in boccio (abbiate pietà di me…) ha cominciato a fare capolino all’interno delle abitazioni anche il perpetuo ed incessante latrare, abbaiare, guaire dei cani. Cominciarono a balenare i primi sospetti e ad apparire i primi moti circolari degli apparati genitali (giramenti di palle, N.d.A.). E difatti, con l’arrivo del tempo buono, anche i cani rinvigoriti e ritemprati nello spirito, nel corpo ma ancor di più nell’ugola, dalle prime ore della mattina fino alle ultimissime ore della notte allietano il trascorrere del tempo abbaiando a squarciagola (si dice così o no? Boh…). Si passa dai solitari gorgheggi del Pavarotti fino ai duetti tra Benito e il Bòbbe, per arrivare ad esibizioni corali in notturna che rendono uniche le nottate estive Bibbienesi. La popolazione delle zone di Bibbiena interessate al fenomeno, sarebbe ben felice di ringraziare di persona il signor Non-si-sa-chi (maledetto chi gli còce il pane…) per lo spettacolo unico che viene concesso giornalmente, 24 ore su 24, 365 giorni all’anno (anche perché i cani non riconoscono né le domeniche e nessun’altra festa, civile o religiosa, con buona pace del clero), e magari sarebbe anche felice di poterlo applaudire di persona, magari a mano aperta, sulle guance, con gran rumore di ciccia percossa.

Noi nel nostro piccolo, da spettatori esterni alla vicenda, speriamo che la popolazione Casentinese sappia apprezzare tale iniziativa e che intervenga numerosa ad assistere alle manifestazioni testé descritte. La popolazione delle Monache ha già dato la disponibilità a concedere le proprie finestre agli ospiti (un po’ come a Siena per il palio), e pare che stiano trattando con quelli della Nave e Pollino.

L’unica nota negativa in tutto questo è che in Casentino esisteva già un canile ampio e funzionale (dice che sia in ristrutturazione, e sapendo come vanno certe cose in Italia lo rimarrà per sempre): Si trovava nel mezzo ai boschi tra San Piero in Frassino e San Martino, in una posizione dove però non dava noia a nessuno. Dispiace che gli gnomi del bosco e le fate non possano più danzare dietro alle note dei cori dei nostri amici cani.

Questo articolo è stato da me scritto per il numero di Ottobre 2000 del mensile Casentino 2000

 

Qualche settimana fa, prima dell’estate, passeggiando per Bibbiena con il mio fido Bòbbe, un cane dalle discendenze dubbie e dal pelo oramai imbrunito, ma dal cervello ancora vispo, mi è successa una cosa singolare. Arrivato in Piazza Grande, il Bòbbe, di solito abbastanza calmo e navigato grazie alla oramai ultradecennale conoscenza di ogni angolino utile del paese, mi si agita d’improvviso: strattona il guinzaglio e con un balzo mi trascina davanti ad una strana struttura metallica dalla forma vagamente fallica. Eccitato ed incuriosito dalla novità, il mio fido bastardino annusa e rimira il nuovo inquilino della piazza fino a quando, con l’espressione tipica del cane che ha capito tutto mi guarda, guarda la struttura azzurro/grigiognola ed alza la gambina posteriore. Io rimango attonito ed il cane mi ripropone la sua zampetta alzata. Finalmente comprendo: “Bòbbe, vieni via, bischero”, gli spiego, “questo è un parchimetro, non è un pisciatoio per cani a pagamento…”. Non potete immaginare la delusione del mio cane. Ho dovuto spiegargli che i parchimetri sono stati installati per il bene della cittadinanza. 

Il mio fido cane Bòbbe!

 

Ora finalmente non ci saranno più parcheggi selvaggi nel centro storico… e soprattutto chi vuol parcheggiare deve pagare l’obolo, con tripudio delle casse comunali. Il mio cane, che è molto bravo ma di vedute molto ristrette mi ha fatto capire con lo sguardo che bastava un maggior controllo sui parcheggi ed un numero maggiore di multe per divieto di sosta (almeno una all’anno) per risolvere il problema. Allora mi sono seduto sopra un avanzo di cemento probabilmente lasciato in piazza da un cantiere e gli ho spiegato che Bibbiena, sta diventando una città d’arte, il salotto buono del Casentino: presto sarebbero portate in paese delle splendide sculture di artisti illustri e quindi non ci sarebbe stato più spazio per delle volgarissime automobili. Sarebbe stato opportuno chiudere anche il passaggio alle vetture dal centro storico, per poter permettere ai milioni di persone che verranno a visitare tale splendore di poter fare la fila tranquillamente aspettando il loro turno. Ma purtroppo, il mio Bòbbe è di un’altra generazione. Non riesce a capire queste novità. Lui pensa che un paese chiuso al traffico sia destinato a morire, ma io non ci credo. Tutti i fondi sfitti che si trovano nel borgo di mezzo, sono solo un caso. E’ la gente che non capisce. E poi, diciamo la verità, il mio Bòbbe è un sovversivo: ho saputo che ha firmato anche lui la petizione popolare con la quale si faceva presente l’assurdità dei parcheggi a pagamento e la chiusura del centro storico, assieme ad altri mille sovversivi come lui che vogliono fare solo il gioco dell’opposizione comunale. Povero il mio canino: se solo sapesse che hanno proposto di allargare la zona pedonale a Bibbiena (da Pollino a Ponte all’Archiano?), e di estendere i parcheggi a pagamento anche a Bibbiena Stazione ed a Soci, probabilmente riceverebbe il colpo di grazia. Il suo vecchio cuoricino non resisterebbe alla rabbia. Lui non capisce che l’arte è arte, e capirà lo splendore solo quando arriveranno finalmente le panchine /sculture d’autore. Prima dovranno togliere dal paese questi ammassi di sasso e cemento buttati là alla menopeggio e seminascosti da paratie di legno e frasche varie. Pensate, quell’ingenuo del mio Bòbbe è arrivato a dirmi che in realtà quegli avanzi di cantiere sono le sculture di cui sopra… Si ricrederà quando vedremo i torpedoni di turisti venire da tutta europa per ammirare l’arte vera. Va bene, dovranno parcheggiare alla Ferrantina o al Corsalone ma che non rompano le scatole e non facciano i moralisti. Cosa volete che ne capisca un cane?

Questo articolo è stato da me scritto per il numero di Settembre 2000 del mensile Casentino 2000

Nelle corti dei signori medioevali, solevano vivere dei personaggi assoldati dal signore del castello il cui unico scopo della vita era quella di allietare le serate di corte con canzoni e motti inneggianti alla grandezza e magnificenza del proprio signore. Essi girovagavano pure per le terre e le corti lontane, per propagandare il buon nome e la gloria del proprio castello. Tale tradizione, sia pur mitigata, è giunta fino ai nostri giorni sfruttando tutte le forme di informazione, dalla più antica alla più moderna. Chiunque abbia lo spirito e la bontà d’animo di dare un’occhiata alla stampa locale, spesso si imbatte in articoli che emergono dalla massa degli altri scritti per la loro involontaria ironia al limite del grottesco. Sembrano infatti le canzoni dei cantori medievali adattate per l’occasione e per il signore di turno. I novelli cantori, spaziano nelle loro scorribande letterarie dallo sport alla politica, dallo spettacolo al costume, alla cronaca nera. Un filo comune lega tutta la loro produzione: l’assoluta e cieca devozione al loro paese. I cantori, sono armati di carta, penna, e sacchettino delle lodi: in un sacchettino infatti hanno racchiuso tutti i migliori aggettivi che hanno ritagliato dal vocabolario, e li estraggono uno ad uno durante la stesura del loro testo. In ordine alfabetico: atteso, astuto, bravo, bellissimo, corretto, doveroso, entusiasmante, illuminato, indimenticabile, intelligente, notevole, splendido, straordinario, sublime, unico e via dicendo. La loro principale caratteristica è quella di non perdersi mai d’animo e di far tornare tutti i conti a favore del proprio pensare. Nei loro dieci centimetri quadrati alla settimana di gloria , l’esibizione di un coro bulgaro in piazza verrebbe definita “momento entusiasmante di apertura fraterna verso un popolo meraviglioso di tradizioni straordinarie, teso al nobile scopo di un una auspicabile unione culturale mondiale … “ (e a questo punto arrivano gli infermieri che lo portano via…). L’asfaltatura di una strada non potrà essere altro che magnificata a mezzo stampa annunciando che “il Comune, per venire incontro alle esigenze dei cittadini ha provveduto, non senza un notevole sforzo logistico, al ripristino del manto stradale ahimè danneggiato, onde evitare alla cittadinanza disagio. Un grazie sentito dai cittadini va alla capace amministrazione comunale ed al sindaco in testa, che con non comune intelligenza ha saputo raccogliere le richieste di intervento e provvedere a più presto.”

L’acquisto di una mezza calzetta di giocatorucolo dal campionato arci del Molise, verrebbe cantata come “l’atto della riscossa, il punto cardine dell’attacco della nuova squadra che con rinnovato spirito ed orgoglio tenterà di scalare le vette del campionato, guidata dal magnifico allenatore e dal presidentissimo tifosissimo appassionato straordinario e munifico al quale vanno i nostri omaggi doverosi e riverenti”. Ricordo che qualche giorno fa, l’espressione “Straordinario evento musicale” fu usato per chiosare l’esibizione ad una sagra paesana di nientepopodimeno che Don Backy! Se chiamavano Nico Fidenco, venivano i torpedoni da tutta Europa, immagino!

In una cronaca recente, commentando la partecipazione di Carmen Di Pietro alla rievocazione della “Mea” a Bibbiena, sono state usate le parole “Bellezza e classe” per lodare la esibizione della Vedova Paretnostro. Ora, che la prorompenza fisica (dovuta più al chirurgo plastico che a madre natura) sia stata scambiata per bellezza passi, specialmente nelle persone più anziane. Ma che un canotto gonfiato abbia classe, questo me lo devono spiegare. Inutile dire che l’articolo in questione ha provocato più risate in casentino di uno spettacolo di Benigni. L’esibizione sempre a Bibbiena di “Tony Corallo” (si proprio lui, quello della “Lauretta vieni in Lambretta…”) è stato definito “atteso spettacolo”. Atteso probabilmente solo dagli infermieri della Croce Verde.

Sono sicuro che se malauguratamente accadesse qualche catastrofe naturale, tali cantastorie troverebbero anche in quella occasione lo spunto per la lode: la distruzione di un paese da parte di un meteorite verrebbe salutata probabilmente come la realizzazione un nuovo parcheggio, una inondazione verrebbe interpretata come il completamento dell’allacciamento all’acquedotto di tutte le utenze (in pratica: acqua in tutte le case…), una epidemia medioevale di peste sarebbe lo spunto per la creazione di migliaia di nuovi posti di lavoro…

La lode è un’arte, va ben oltre la letteratura… queste espressioni sono l’equivalente letterario degli svolazzi del barocco, solo che il barocco era pesante artisticamente, questi articoli sono pesi e basta.

Questo articolo è stato da me scritto per il numero di Dicembre 2000 del mensile Casentino 2000

Sono già arrivati. Anche quest’anno sono calati dalle montagne, varcando i crinali dell’appennino. Arrivano a frotte, a stormi. La loro invasione è lenta ma costante. Nulla può fermarli: nessuna forza della natura, nessun ordigno… niente.

Tipico mezzo di locomozione

I fiorentini cominciano ad arrivare in casentino all’inizio di Luglio, cioè quando la temperatura nella loro terra natia raggiunge apici da altoforno. Arrivano sulla loro 127 color caffellatte, qualcuno più moderno, con la Punto grigia, ma rigorosamente coi canini che scuotono la testa contropesata in bella evidenza nel cestino posto sotto al lunotto posteriore della vettura, appoggiati sopra all’immancabile plaid scozzese, acquistato decenni prima dell’ultima alluvione. Li vedi scendere sudati come lontre (perché i finestrini la si devan tenere ‘hiusi, ‘he la si piglia le malattie co le ventahe…): lui, con le gore di sudore di stile fantozziano, la cintura slacciata che penzola sotto alla trippetta, la camicia manica lunga, il gilet di lana a quadri d’ordinanza, il sandalo aperto ed il calzino di lana. Lei, col trucco oramai disfatto fin dall’Anchetta, e spalmato assieme al sudore su tutta la tappezzeria, cerca di darsi una sistemata e chiama l’Anas per farsi dare una mano di asfalto sulla faccia. Perché anche in campagna, la classe è la classe…Sui sedili, le foderine tipiche di pecora degli anni ’70, oramai facenti funzione di argine del lago di sudore che ivi ristagna.

Che il fiorentino sia intellettualmente superiore è un dato di fatto: del resto, il rinascimento non poteva avere la sua culla se non a Firenze, crogiuolo di menti artistiche e di geni del pensiero.

Questo lo si nota tuttoggi, nonostante le generazioni passate. Quando un fiorentino arriva, lo si capisce da lontano. Pochi altri, al mondo sarebbero in grado di palesare alle genti le loro doti artistiche, la loro vena creativa, i loro bizantinismi nell’uso improprio dei mezzi di locomozione. I loro parcheggi ricordano la perfezione delle geometrie dei marmi della facciata del Duomo di Firenze, le loro fughe sugli “STOP” ricordano le fughe di Bach, i sensi unici vengono rivisti e reinterpretati in schemi che definire originali sarebbe quantomeno riduttivo. Come non comprendere la loro natura, del resto? Il loro ambiente naturale li ha forgiati e le esperienze di vita creano la base di dati delle loro conoscenze… in poche parole, nei viali non ci sono gli STOP, ma solo i semafori: di conseguenza, il fiorentino adulto (che non è mica bischero) si fermerà solo ed esclusivamente al semaforo, giammai allo STOP. E’ una semplice legge che viene applicata anche in laboratorio sulle scimmie con sorprendenti risultati: bottone rosso: banana, bottone verde: scossa elettrica. Ora, se si considera che in casentino di semafori, per fortuna non ce ne sono poi tantissimi, possiamo comprendere il disagio di questi poveri avventori.

La definizione di “Turista”, a mio giudizio va molto stretta al fiorentino. Il turista infatti, visita, osserva, si informa, ammira. Il fiorentino arriva, getta scompiglio, infama ciò che non comprende cioè tutto, colonizza. Osserviamolo più da vicino.

L’agognato confine!

Una volta varcato il confine (La Consuma) il fiorentino tipico viene preso dal panico da guida Michelin. Egli infatti, ad ogni curva sente il bisogno di consultare la mappa stradale del Touring Club Italiano, edizione 1937. Giunto a questo chilometraggio, egli comincia ad essere un pesce fuor d’acqua: i viali sono oramai lontani, ogni curva, guard rail, cartello stradale, ogni ciuffo d’erba al lato della strada è una minaccia, un pericolo per l’incolumità della sua Fiat seminuova. E’ tutto così stretto con due sole corsie, così verde, con tutti quegli alberi al posto dei lampioni… è chiaro che ci si sente portati a viaggiare rigorosamente sopra la riga di mezzeria! E’ confortante.

Arrivati al Borgo alla Collina, primo avamposto a presidio del territorio casentinese, il fiorentino ha già totalizzato circa: 2 corriere della LFI mandate in fossetta per cercare di evitarlo, 7 pedoni spaventati da passaggi radenti alla Top Gun, 27 vetture smadonnanti in coda dietro di lui a causa della propria velocità (30km/h, a favore di vento). Una volta giunto in Casentino, il fiorentino, ritrovandosi in mezzo a paesi con meno di 700.000 abitanti si trova smarrito. Strade strette, ponti, fiumiciattoli, incroci senza semafori… Onde poter espletare i propri bisogni fisiologici, egli pensa di fermare la propria vettura nei pressi del primo Bar che incontra. Per fare ciò, infilerà la bellezza di tre sensi unici (dalla parte sbagliata, ovviamente), e parcheggerà di traverso sulle strisce davanti al portone del Pronto Soccorso.

Ma non lo fa per cattiva volontà o per ribellione: proprio non ci arriva. E’ candida la faccina beata del fiorentino che viene apostrofato pesantemente dal nostro concittadino casentinese quando l’oriundo gli parcheggia la centoventisette in giardino, sradicando tre metri di siepe con la retromarcia e facendo saltare il tavolino con le sedie comprate da Marino fa Mercato.

Nelle sistemazioni, poi il fiorentino tipo è incontentabile. L’albergo ovviamente non è all’altezza: non c’è l’ascensore (ma neanche il primo piano…), “per la holazione ‘iccaffellatte gliera diaccio marmaho”, la notte non dorme in quanto il plaid di lana sotto al coltrone non gli basta: perché in fondo siamo in campagna e la notte in campagna c’è freschino. Anche d’agosto. Ma il momento clou dell’esperienza del fiorentino in casentino è quando si accinge a visitare le bellezze artistiche della nostra terra. E’ testimone lo scrivente di una coppia di fiorentini i quali, con guida alla mano dentro a una pieve, leggendo “polittico ligneo del secolo XIII”, la signora si sia rivolta al marito dicendo: “ah ecco. anche questa l’ha fatta il Lignèo!”. Da notare che, come aggravante, stavano guardando il crocefisso.

E’ dura la vita del fiorentino in casentino. Addirittura drammatica se vuol raggiungere il santuario de La Verna. Già a Borgo alla Collina chiedono indicazioni, ringraziano e si dirigono felicemente verso Pratovecchio. Capito l’errore (la signora teneva la mappa al contrario), riprendono la strada fino a raggiungere Bibbiena. Una volta compreso che bisogna salire a Bibbiena alta per arrivare alla Verna, costeggiano viale Michelangelo e una volta giunti all’incrocio con l’indicazione per “Chiusi della Verna” diligentemente sbagliano direzione e si ritrovano al Corsalone. Rimandati indietro, impiegano circa due pieni del serbatoio della loro vettura per comprendere che davanti al ristorante “Da Spartaco” bisogna girare a sinistra. Ma girano poco a sinistra, ed invece di imboccare la strada indicata ancora una volta dall’apposito segnale, si infilano nel centro storico del paese, gettando scompiglio tra la popolazione residente. Per uscire dai sensi unici di Bibbiena, il fiorentino lascerà quale ricordo del proprio passaggio dei doverosi tributi quali strisciate di vernice nelle pietre della Porta de’ Fabbri, pezzi di paraurti nero negli angoli di via Poccianti. Tornato all’incrocio di cui sopra, finalmente comprende che quel cartello giallo a punta con la scritta nera “Chiusi della Verna” indica probabilmente che bisogna andare in quella direzione per il santuario. E qui, le tracce del nostro fiorentino si perdono, il quale rinfrancato dalla propria mappa guida felice tra le campagne verso l’agognata meta.

Un’altra categoria di fiorentini sono gli “oriundi”. Da sempre molti casentinesi si sono trasferiti per lavoro a Firenze. E molti di essi posseggono ancora la casa nella nostra vallata, nella quale trascorrono almeno 2 mesi d’estate. Ebbene, questi fiorentini differiscono di poco dai turisti. Imboccano ogni anno regolarmente il senso unico nella direzione sbagliata (nonostante quel senso unico sia li fin dal tempo del Cardinal Dovizi), sbagliano la strada (anche quella che li porta a casa), si fermano d’improvviso causando tamponamenti a catena, tengono velocità prossime ai 30km/ora perché non conoscono la strada.

E’ dura anche la vita del casentinese, costretto per due o tre mesi all’anno a convivere con questa piaga. Fin da piccoli si impara a guardare bene prima di attraversare la strada, ma da luglio a settembre, ci viene anche insegnato di stare attenti alle centoventisette caffellatte e alle punto grigie, o comunque a tutto quello che si muove e che riporti sulla targa la scritta “FI” o il giglio rosso. Sappiamo per esperienza che se davanti a noi c’è una macchina di Firenze, è meglio cambiare strada e fare la lunga: si arriva dopo, ma almeno si arriva… Mai dare indicazioni troppo precise ad un fiorentino: non le capirebbe, si spreca il fiato. Mai dire “vada verso Poppi, poi segue per Bibbiena”: bisogna parlare la loro lingua: “vada verso piazza Beccaria, dopo ‘issemaforo la gira a destra, la hosteggia ‘ipparcheggio, poi va fino in fondo per tre semafori poi la hiede…”

Tipico turista fiorentino

Alla fine dell’estate, quando gli alberghi smobilitano, le nuvole tornano a farla da padrone, i fiorentini caricano le loro valigie e ripartono a sciami verso le loro terre. Stanchi, perché la vita fuori dalla città è dura, ma rinfrancati nello spirito. E telefonando da Bibbiena ai figli per preannunciare la partenza, come d’obbligo diranno: “si siamo a Bibbona, si parte ora… I’mmare? Come i’mmare? La un s’è miha visto i’mmare. No un ci siamo andahi: gliera hattivo tempo…”.